Bacco giramondo – Li chiamano «scoscendimenti», ma i loro sottosuoli sono miniere «d’oro» che danno vita a grandi vini
La Côte d’Or (in italiano Costa d’Oro) in Borgogna è una stretta striscia di vigneti, orientata da est a sud-est, che si estende da Digione verso nord sino a raggiungere il limite del dipartimento, passando per Beaune. Questa «Côte» segna il limite est delle foreste e delle colline, poste a costituire la matassa delle alture borgognone, e finisce nel villaggio di Santenay. La vasta pianura, formata dal fiume Sâone si stende ai suoi piedi verso est.
Quello che i geografi chiamano «scoscendimenti» in verità si trovano su un sottosuolo costituito da materia molto ricca, fattore principale dell’eccezionale qualità dei vigneti. Il sottosuolo è infatti composto da marne e due tipologie di rocce calcaree. Questi scoscendimenti variano dai 150 metri ai 400 metri, ma i migliori terreni sono quelli a metà costa.
Fattore tutt’altro che secondario che dà prestigio alla Côte d’Or è la sua vicinanza ai grandi assi viari: i vigneti infatti si trovano lungo la via che da due millenni collega il nord delle Fiandre al sud della Provenza e (se vogliamo), da Roma a Parigi, via inaugurata dalle legioni romane. Grazie alle A6 e A31 (autostrade) e le nazionali 6 e 74, oggi a questa regione viene evitato il traffico automobilistico di cui soffrono (non solo in Francia) tante regioni rurali.
Come la geografia, anche la storia è stata importante per questo dipartimento: la regione fu infatti uno dei primi centri della vita monastica in Francia, che vide prima dell’anno 1000 la costruzione della grande abbazia Benedettina di Cluny nel Mâconnais; e nel 1098 l’abbazia di Cîteaux, prima casa dell’ordine Cistercense nei pressi di Nuits-St-Georges.
Nello stesso anno l’abbazia entrò in possesso del suo primo vigneto a Meursault e qualche anno dopo sotto l’egida del loro Padre superiore Saint Bernard, aumentarono i loro possedimenti.
Il contributo dei Cistercensi fu di capitale importanza per la rinomanza del vigneto borgognone. Anche se essi non furono di certo i primi a coltivare la vigna nella Côte d’Or. Già i Romani avevano portato l’arte della viticoltura in questa zona (a giudicare dai numerosi i reperti ritrovati), e Carlo Magno in seguito aveva reso famosi i suoi vini.
In ogni caso, ribadiamo il concetto dell’importanza dei Cistercensi, che dopo aver recintato (enclos) parecchie vigne, eressero nel 1330 la cinta muraria che ancora oggi recinta il mitico Clos de Vougeot. Sperimentando e migliorando con degli scritti, i Cistercensi hanno fatto dei vini della Côte d’Or dei vini prestigiosi.
Non solo i suoi «maestri» spirituali aiutarono la viticoltura in Borgogna, questa regione deve molto anche ai suoi «sovrani» temporali: a partire dai duchi di Valois alla fine del Medioevo. Nel 1375 Filippo l’Ardito, incoraggiava la coltivazione del Pineau l’antenato del Pinot Nero, proibendo la coltivazione del Gamay, vitigno prolifico, ma mediocre di qualità. La Rivoluzione, deportando i monaci, frazionerà i loro vigneti sulla Côte d’Or, e dopo Napoleone pochi «clos» resteranno in mano a unici proprietari.
La Côte d’Or è divisa in due parti: la Côte de Nuits a nord (22 km) e la Côte de Beaune (25 km) a sud, due A.O.C. sono situate a ovest sul costone principale: Hautes Côtes de Nuits e Hautes Côtes de Beaune. La Côte de Nuits produce quasi esclusivamente vini rossi, mentre la Côte de Beaune produce vini sia rossi sia bianchi. Pinot Nero (rosso) e Chardonnay (bianco) sono i due vitigni principali.
Divisa a metà dalla città di Beaune, da visitare a piedi, con il suo Hôtel Dieu, che è l’emblema della regione, i suoi dintorni sono cosparsi di villaggi che danno il nome ai vigneti o viceversa.
Ogni villaggio (almeno la maggior parte), possiede la sua A.O.C., così come le numerose designazioni di luoghi o di vigneti, dove i più famosi si fregiano del titolo di Premier cru, o meglio ancora quello di Grand Cru. Luoghi speciali per chi ama il vino e tutto quello che è legato a questa bevanda, dove tra le vigne e le cantine puoi respirare la storia dell’uomo.
Nonostante i vitigni (Pinot Nero e Chardonnay) siano gli stessi tra un vigneto all’altro, lo stile dei vini è diverso per via del terreno, ma anche della forte individualità, tra i vari produttori.
Qui, produttori, enologi, negozianti, grandi o piccoli che siano, hanno ciascuno la propria opinione su come deve essere un grande vino di Borgogna. Il mio consiglio: visitarne molti e non fermarsi solo a qualche grande etichetta. La regola generale è che i vini guadagnano in complessità, in prezzo e potenzialità d’invecchiamento in funzione del luogo dove viene classificato il vigneto di produzione, tant’è vero che alle volte si possono trovare dei Premiers cru scialbi, al confronto di uno splendido A.O.C. village.
Chiara dimostrazione di come la mano dell’uomo e il rendimento che si domanda alla vigna sia determinante con la qualità intrinseca del terreno. Anche le condizioni climatiche sono un altro fattore della diversità dei millesimi nella stessa regione. Un’ottima annata a Gevrey-Chambertin nella Côte de Nuits, non è necessariamente anche un’ottima annata a Pommard, nella Côte de Beaune, infatti le condizioni climatiche in questa zona hanno effetti locali.
È molto raro che un Grand cru della Borgogna abbia la longevità di un Grand cru del bordolese; normalmente un grande vino borgognone raggiunge il suo apogeo tra i 12-15 anni d’invecchiamento (ci è capitato di provare qualcuno con più di 20 anni, erano però piacevoli eccezioni).
Le normali «appellations comunale» vengono stappate generalmente dopo 3-5 anni di permanenza in bottiglia, sia per i rossi sia per i bianchi. I rossi di Borgogna (Pinot Nero) sono vini fragili, quindi bisogna avere molta cura sia per la conservazione sia per il trasporto, soprattutto se vengono inviati in paesi molto caldi.
I grandi bianchi (Chardonnay) invecchiano di più di quanto possa far pensare il loro colore. Non può comunque l’amatore di questa tipologia di vini lasciare il ristorante Montrachet nell’omonimo villaggio senza innaffiare il succulento piatto delle locali «escargots» (all’aglio, burro e prezzemolo) con uno Chardonnay che porta lo stesso nome sopracitato e che si libera in bocca con degli aromi potenti, ricchi che ne esaltano la freschezza… sarebbe un peccato mortale.
Vellodoro (Pecorino)
Al confine con il Molise, troviamo la D.O.C. Terre di Chieti. Ci troviamo in Abruzzo dove questa zona è considerata la maggior produttrice di vino della regione. Il nome Pecorino sembra derivi dalla forma del grappolo, che in apparenza è simile a quella di una testa di pecora. Il Vellodoro, vino prodotto con metodo biologico dalla Umani Ronchi di Osimo (AN), azienda leader nel campo vitivinicolo mondiale, è prodotto in tre milioni di bottiglie all’anno.
Quest’uva, di antica tradizione, è stata rivalutata nell’ultimo decennio, grazie anche alla volontà di tornare a produrre vino dai vitigni autoctoni, di alcuni produttori del centro-est italiano, con tanti sacrifici e tempo. Vitigno non così grasso e produttivo, il Pecorino ci dà dei vini di struttura e intensità gusto-olfattiva molto equilibrati.
Il Vellodoro non ci vuol stupire per potenza ed espressività, ma con un accenno di frutta non troppo dolce, una sfumatura erbaceo/floreale e una sapidità che ci seduce. Ottimo con piatti di pesce cucinati in modo semplice, primi piatti di pasta e, visto l’avvicinarsi della primavera, con zuppe di legumi.
/ Davide Comoli