Vino nella storia – L’efficacia dell’uva fermentata come antisettico trova conferma già nell’Odissea – Seconda parte
Nelle pagine dell’Odissea di Omero, troviamo in più occasioni Ulisse intento a versarsi del «vino nero etiopico» in modo da purificarsi e pulirsi le mani. Grazie all’Odissea possiamo essere introdotti nella cultura degli antichi Greci, culla dei primi medici tra i quali: Macaone, Podalirio, ma soprattutto Ippocrate di Cos. È proprio tra le memorie lasciateci da questo grande del passato, che il vino viene spesso citato nelle sue prescrizioni («Nessuna ferita deve essere bagnata con nient’altro che vino, a meno che la ferita sia sulle giunture»), oltre che come diuretico purgativo. (Corpus Hippocraticum).
La figura di Ippocrate inaugura anche un nuovo concetto di medicina, intesa come «rimedio» basato sulla continua osservazione del paziente e di come reagisce ai trattamenti. Il grande medico del passato rivela uno speciale equilibrio nel giudizio sul vino, affermando che le dosi non devono mai essere eccessive e quando sono giustamente proporzionate ai singoli pazienti si rivelano sempre benefiche. Non per niente a Ippocrate viene attribuito il famoso detto: «il vino è per l’uomo come l’acqua per le piante: la giusta dose le fa star rette, l’eccesso le fa cadere».
Senza dubbio gli scritti del celebre medico greco sono i primi nella storia dove fa la comparsa il concetto di «consumo moderato». Ma Ippocrate è soprattutto il primo medico ad aver studiato il vino, mettendolo in relazione agli effetti che questa bevanda ha sull’essere umano, sgombrando dalla scena medica molti riferimenti magici/religiosi. Per Ippocrate non esiste più il vino generico, ma distingue il vino secondo le tipologie (dolci, mielati, bianchi, rossi), ognuna delle quali scatena differenti reazioni fisiologiche e dunque si presta meglio delle altre alla cura delle diverse patologie. I suoi studi apriranno la strada a quelli medici che verranno effettuati più tardi in epoca romana da Celso, Dioscoride e soprattutto da Galeno senza dimenticare Plinio il Vecchio.
Notevole fu pure il contributo di Ippocrate alla cultura della sua epoca e il suo pensiero influenzò non poco celebri filosofi quali Socrate, Platone e Aristotele. Furono appunto questi personaggi a portare il vino nel mondo della filosofia da un punto di vista etico, tema che interessò sempre più da vicino anche il mondo medico. Ci riferiamo all’ebbrezza e agli effetti che l’alcol ha sull’organismo.
I grandi filosofi greci si lasciarono progressivamente alle spalle una cultura del bere che oggi definiremmo «dionisiaca», ovvero che considerava il vino come una bevanda che conduceva l’individuo a un’unione con il divino, e cominciava invece a negare ogni effetto positivo legato all’ebbrezza. A fianco di quello medico, iniziò così un lungo percorso filosofico sul quale non ci dilungheremo oltre.
Quando si parla di vino/salute è utile fare tuttavia un po’ riferimento anche a culture geograficamente lontano dalla nostra. In India, ad esempio, già nel periodo Vecchio (2500-200 a.C.) si attribuivano notevoli poteri terapeutici al vino. Nel libro Rgveda (1600 a.C.) sono raccolti diversi scritti in onore del «Soma» una bevanda probabilmente ottenuta facendo fermentare il succo dell’Asclepias acida. Si riteneva che il «Soma» fosse in grado di dare salute, ma soprattutto immortalità, e caso vuole che a un certo punto curiosamente questi poteri cominciarono a essere attribuiti anche al vino. A tutt’oggi non si riesce ancora a capire bene questa apparente confusione tra bevande così diverse. Sfogliando a tal proposito l’antico libro Atharvaveda e in particolare il testo medico dell’Ayurveda, composto da frammenti di diverse epoche storiche, trovo che uno di questi, il Charaka Samhita, si riferisce esplicitamente al vino definito: «rinvigorente del corpo e della mente, antidoto per l’insonnia, stimolante dell’appetito, della digestione e della felicità».
Gli antichi abitatori dell’India, i quali avevano accumulato avanzate nozioni di chirurgia, furono tra i primi a notare le virtù anestetiche del vino. A questo proposito su un antico testo sanscrito abbiamo trovato: «prima dell’operazione al paziente verrà dato da mangiare ciò che desidera, e vino da bere così che egli non soffra e non senta il coltello». Insomma la medicina indiana anticipa di molto alcuni dei risultati attribuiti in seguito alla civiltà greca.
Anche nella letteratura medica della Cina si fanno frequenti accenni al «Chiu», nome che veniva dato al vino. Ma sinceramente non siamo sicuri che ciò fosse il nome di una bevanda ottenuta solo dalla fermentazione dell’uva, piuttosto che anche dalla distillazione di cereali. A questi vini venivano in ogni caso aggiunte sostanze varie: estratto di ginseng, oppio, rabarbaro, arsenico… compresi diversi organi di animali, fegato di lucertola, carne di vipera, pelle di cavallette. Sembrano pozioni magiche, utilizzando sempre il vino come base alcolica, usate per combattere ogni genere di malanno. In alcuni casi, il vino addizionato di spezie veniva bevuto caldo per curare la tosse e il raffreddore. Da qui forse l’origine di ciò che oggi chiamiamo vin brûlé.
Contado Riserva (Aglianico)
L’Aglianico, importante vitigno a bacca rossa del centro-sud Italia, è originario della Magna Grecia, dove da tempi antichissimi era già coltivato. Il suo nome deriva infatti dal termine ellerikon e fu introdotto nella penisola dagli antichi colonizzatori.
Se i vini del Molise sono conosciuti in tutto il mondo, gran parte del merito va ad Alessio di Majo, vero ambasciatore di questa terra. Qui a Campomarino ai confini con la Puglia, da dove si possono vedere le Tremiti, tra i moltissimi vini prodotti dall’azienda, spicca il Contado Riserva prodotto con le uve Aglianico in località Madonna Grande; luogo già decantato per i suoi vini dal sommelier Sante Lancerio, al seguito di Papa Paolo III Farnese.
Il sole che matura le uve del Contado (Aglianico) regala alle stesse un vino rosso rubino, talmente profondo da farsi prugna, denso e al naso austero, con tannini vellutati e ampie sfumature che danno eleganza al primo sorso, corpo strutturato, avvolgenti note di frutta matura e spezie, ne fanno il compagno perfetto per il capretto nel giorno di Pasqua.
/Davide Comoli