Il vino nella storia – La crisi dello sviluppo economico di Roma tra guerre e invasioni nei secoli più bui del Medioevo, per la serie «Lungo le rotte del vino» – 7a parte
Lo sviluppo economico di Roma, sotto i primi imperatori, era dipeso molto dalla forza che l’Impero aveva profuso per il mantenimento della pace e della floridezza economica creatasi grazie all’espansione dei commerci: facile quindi immaginare cosa sarebbe successo se tutto questo fosse venuto a mancare. La piccola crisi avvenuta nel II sec. d.C. (superata con qualche difficoltà), infatti, con una diminuzione del benessere borghese, faceva presagire qualcosa di peggio.
Nel V sec. d. C., la tempesta annunciata e della quale già si erano sentite le prime avvisaglie durante il regno di Marco Aurelio (121-180 d.C.), si trasformò in un drammatico uragano. Ai cronici e sempre più insanabili problemi interni, si aggiunsero i pericoli esterni.
Le frontiere dell’Impero che per secoli avevano resistito agli attacchi e alle invasioni da parte di soldataglie sempre più avvezze alla guerra, alle razzie, e sempre meglio armate, subirono un collasso. Alemanni, Franchi, Goti, Visigoti, Vandali, Sarmati, Boemi, Persiani e perfino le popolazioni della Libia e Mauritania, irruppero come uno tsunami, invadendo senza risparmiare nessun territorio e angolo di quello che era stato il cuore economico dell’Impero.
Poco dopo la metà del V sec. l’Impero si disintegrò. Con la disfatta di Roma e la liquidazione del suo Impero, anche il commercio con i suoi protagonisti furono travolti da questa onda distruttrice. Il vino, che aveva avuto come patria la grande vigna rappresentata dai fertili territori dell’Impero sia in Oriente sia in Occidente, conobbe la sua lunghissima stagione dell’oblio.
Prima dell’auspicata rinascita, il commercio del vino conoscerà ancora periodi difficili come quelli che coincideranno con le invasioni degli eserciti mussulmani. I quali, anche se non bloccarono completamente e definitivamente il commercio del vino via terra o via mare, contribuirono senz’altro a una drammatica recessione.
L’inarrestabile espansione dei Musulmani che si erano stabiliti in Spagna, nelle Baleari, Malta e Sicilia, aveva edificato un’invisibile muraglia che divideva l’Europa orientale da quella occidentale. I vincoli commerciali che avevano legato i vari popoli dell’Impero che vivevano oltre il Mediterraneo, furono spezzati da questa nuova civiltà, che per motivi religiosi distruggeva la coltura vitivinicola delle regioni invase, con poche eccezioni. Con la scomparsa quasi totale dei commerci via mare che aveva il vino (forse protagonista assoluto), cessarono tutte le attività ad esso legate e tutte le corporazioni di mercanti che si erano affermate si sciolsero.
Per lunghi secoli le società si basarono esclusivamente su un’economia rivale; le proprietà si rivolsero a un’attività mirata all’autosufficienza e non di rado alla sola sopravvivenza. I prodotti agricoli e il poco vino prodotto furono usati esclusivamente per un consumo interno e non ai mercati; correvano i secoli più bui del Medioevo.
In alcuni periodi, come ad esempio quello carolingio, le città tradizionali che avevano avuto una connotazione anche come luogo di sfogo economico per il mondo contadino, scomparirono in gran parte dall’Europa e si trasformarono in «recinti fortificati», costruiti per proteggere il centro culturale rappresentato da un monastero o da una cattedrale.
Anche il vino e la birra prodotti nei monasteri, che erano territorio di produzioni agricole e artigianale, se eccedevano rispetto alla necessità della comunità (folta) monastica, erano venduti. La vera attività commerciale, non era che un lontano ricordo. I mercatores o negociatores di un tempo erano in parte sostituiti da occasionali venditori, un ruolo che veniva spesso ricoperto dai servi del monastero incaricati di «esportare» il vino oltre le mura monastiche.
In questo triste quadro della vita in Europa, nel X sec., riuscirono a sopravvivere alcune realtà, ad esempio Venezia: avendo mantenuto un porto attrezzato per scambi di alto profilo, riusciva a tenere rapporti con gli scali commerciali della Grecia e di Costantinopoli. Ma in questo contesto non va dimenticata l’intraprendenza di Genova e Pisa, che con audacia sfidarono le flotte saracene in terribili battaglie in mare, riuscendo a riaprire, in parte, le antiche vie marine del commercio.
Solo sul finire del X sec., in alcuni dipartimenti europei, dove esistevano le cosiddette «città monastiche», viene garantita una certa sopravvivenza delle attività mercantili. Il vino tornava ad essere prodotto in molte zone, soprattutto in luoghi votati alla viticoltura che si trovavano lungo il corso dei fiumi.
Nel cuore dell’Europa furono le vie fluviali a diventare il cuore dei traffici più importanti. Le merci trasportate lungo i corsi d’acqua avevano il 75 per cento di possibilità di arrivare a destinazione, sulle rive di questi corsi d’acqua, oltre ai famosi «castrum», costruiti per difendere le comunità religiose e naturalmente la popolazione, si crearono luoghi ove concentrare i traffici delle merci.
Il Reno, il Rodano, il Danubio, tanto per citarne qualcuno, diventarono sedi di «faubourgs o portus», che avevano la caratteristica di essere luoghi stabili di stoccaggio delle merci. Sul finire del XI sec., riappaiono in tutta Europa i mercanti di professione. Anche se ancora numericamente scarsi, oltre a percorrere le ancora insicure vie marittime, utilizzano le numerose vie fluviali per il trasporto delle loro mercanzie. Il commercio del vino timidamente ricomincia a navigare sui barconi che solcano le acque dei fiumi europei.
Parfum de Vigne (Chasselas)
Sui terreni morenici, lasciati in eredità dal ritiro del ghiacciaio del Rodano più di 10mila anni or sono, nasce il Parfum de Vigne, uno Chasselas allevato nella Côte e vinificato rispettando la terra e intervenendo il meno possibile in cantina. Jean-Jacques Steiner è il vigneron produttore di questa perla, coltivato nel villaggio di Tartegnin (zona di Grand Cru) e che si fregia di una medaglia d’oro e del marchio «di qualità Terravin».
Il Parfum de Vigne fa meraviglie al vostro aperitivo grazie alla sua freschezza e delicatezza, con profumi che spaziano dalla frutta ai fiori, dati dalla sua giovinezza. Nelle grandi annate (come il 2018), è possibile percepire forti i sentori di miele e di noci, che attestano la grande personalità di questo vino.
Ottimo, data la stazione, l’accompagnamento con i tipici piatti di formaggio (raclette, fondue, malakoff), ma provatelo con il «sushi»: noterete come la delicatezza del pesce crudo ben s’accordi alla finezza dello Chasselas.
/ Davide Comoli