Bacco giramondo – Oggi questa regione italiana produce circa 1,5 milioni di ettolitri di vino su una superficie di circa 24mila ettari, per quasi la metà in provincia di Roma
Le immagini di una Roma godereccia e dall’animo pagano, affidate all’arte e alla letteratura, richiamano velocemente alla mente, quando si parla di un vino laziale, le antiche feste coronate da solenni bevute, con le quali innaffiare i piatti di fettuccine, porchetta e abbacchio.
Le zone del Lazio più vocate alla viticoltura sono quelle alle pendici dei rilievi di origine vulcanica che grazie ai terreni lavico-tufacei danno un ottimo nutrimento alle viti. Va inoltre ricordato che molta della storia della coltura della vite e della produzione del vino nel bacino del Mediterraneo, si svolge nel Lazio e si lega in modo stretto a quella della Grecia e della Magna Grecia!
La storia del Lazio vitivinicolo si caratterizza per gli alti e bassi nel corso dei secoli, attraversata da momenti più fiorenti alternati a momenti meno felici. A partire dagli anni Novanta l’enologia laziale, grazie alla riqualificazione della piattaforma ampelografica e alla riduzione delle rese per ettaro, ha fatto un grande salto di qualità. Oggi il Lazio produce circa 1,5 milioni di ettolitri di vino su una superficie di circa 24mila ettari, per quasi la metà in provincia di Roma; i vitigni a bacca bianca occupano quasi il 75 per cento del vigneto laziale. Molto merito di questo balzo qualitativo va all’ARSIAL (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura), con la ricerca e sperimentazione dei cloni di vitigni autoctoni come l’Angelica, l’Albarosa e il Cesanese di Castelfranco, e il recupero di varietà tipiche di zone specifiche come la Malvasia del Lazio e i suoi cloni: il Bombino Bianco, il Bellone e il Cacchione. La base ampelografica dei vini bianchi di tutto il Lazio è data dalle Malvasie e dai Trebbiani. Tra i vitigni a bacca rossa, oltre al Ciliegiolo, Montepulciano, Merlot, Cabernet, vicino ad Anagni con il Barbera, troviamo il Cesanese, il più coltivato tra i 200-600 m s.l.m. tra le falde del Monte Scalambra e Valle del Sacco. I Trebbiani di maggior interesse per la viticoltura locale sono quello Toscano, Romano e quello Giallo. Tra le Malvasie le più interessanti sono quelle Bianca di Candia e quella del Lazio o Puntinata, così chiamata per le chiazze grigio-marrone presenti sugli acini.
Un altro fattore importante per la viticoltura regionale è dato dalla produzione di pregiate uve da tavola coltivate nelle zone pianeggianti.
Scendendo da Pitigliano in Toscana si entra nella zona dei Monti Vulsini, dove incontriamo il villaggio di Gradoli, patria del dolce Aleatico, prodotto anche nella versione liquoroso, un rosso dal profumo di rose rosse e frutti di bosco; ne acquistiamo qualche bottiglia per le serate con gli amici.
Scendendo verso la Bolsena e il suo lago, troviamo filari di Malvasie e Trebbiani, sfioriamo le vigne di Grechetto che danno origine alla D.O.C. interregionale Orvieto e non possiamo fare a meno di salire a Bagnoregio, arroccato su un colle in perenne erosione.
Il nostro viaggio prosegue verso Montefiascone nel cuore dei vigneti che producono l’apprezzato Est, Est, Est che abbiamo sorseggiato con dei ravioli ai carciofi. Nella parte bassa della cittadina si erge la chiesa di S. Flaviano, ove è custodita la pietra tombale del prelato tedesco Giovanni Defuk, al quale il vino locale deve la sua internazionale fama.
Prendendo la direzione di Roma, lunghe distese di vigne accompagnano il Tevere verso la capitale, a est i Monti Cimini e il Lago di Vico, a ovest la D.O.C. Vignanello che produce vini soprattutto a base di uvaggi, vini di media struttura, ottimo il Greco Bianco vinificato in purezza.
La strada che ci porta a Cerveteri costeggia il Lago di Bracciano, celebre anche per la sua «anguilla alla brace», bagnata da un robusto rosso a base di Canaiolo e Barbera. Costeggiamo la fascia costiera verso Fiumicino, zona che vanta un’antica vocazione enologica: qui abbiamo trovato vini bianchi di moderata alcolicità da uve Trebbiano, Bellone, Verdicchio e rossi prodotti con Sangiovese e Montepulciano; grande il Merlot D.O.C. Cerveteri, gustato con uno «scottadito d’agnello». A sud-est di Roma, l’amico Guido, profondo conoscitore della zona, ci farà da cicerone, visitando le numerose denominazioni.
I Colli Albani occupano un gruppo montuoso disposto a cerchio, il cui perimetro costituisce l’antica cresta di un immenso cratere, costellato da crateri secondari, sul fondo dei quali si sono formati dei laghi. I pendii sono ricoperti da uliveti e un’infinita estensione di vigneti. Dapprima roccaforti di alcune famiglie nobili, dal Seicento i tredici villaggi Albano, Ariccia, Castel Gandolfo, Colonna, Frascati, Genzano, Grottaferrata, Marino, Nemi, Montecompatri, Monte Porzio Catone, Rocca di Papa e Rocca Priora, con le loro splendide residenze, hanno assunto un carattere spiccatamente ozioso, fascinoso luogo di vacanze. Celebre per il suo vino bianco, il Frascati nella sua versione Superiore e Cannellino, ci ha conquistato, nonostante rimanga nell’immaginario di molti il vino da gustare nelle Osterie sparse qua e là.
Marino, pure, ci ha incantati con il suo Bombino Bianco dai delicati sentori di fiori bianchi e frutta fresca, dalla cui fontana dei Quattro Mori sgorga a fiumi il vino durante la festa della vendemmia. Ad Albano Laziale (la mitica Alba-Longa), abbiamo sorseggiato una profumatissima Malvasia di Candia, all’ombra delle mura fatte costruire nel 192 d.C. da Settimio Severo.
Attraverso un mare di vigne arriviamo ad Ariccia, dove ci attende una meritata sosta gastronomica, siamo nella capitale della «porchetta» e con Guido e altri amici diamo vita a una di quelle «ottobrate» disegnate dal Pinelli (1701-1835), dove il Bombino Bianco e il Bombino Rosso, rallegrano i cuori e le anime.
Non potevamo proseguire il viaggio senza scendere la tortuosa strada che porta al Lago di Nemi (lo specchio di Diana), un paesaggio campestre che ci ricorda le Odi di Virgilio e patria di deliziose fragoline di bosco. Adagiata sul versante sud del cratere dei Monti Albani, Velletri è il centro più grande dei Castelli Romani, si trova al centro di una regione coltivata a vigneto, tra le uve coltivate spiccano: il Sangiovese, il Ciliegiolo, il Merlot, il Montepulciano, che danno vini molto intensi e sottoposti ad evoluzione in legno. Più ad est, verso Frosinone, dove inizia la Ciociaria, troviamo l’importante area dell’autoctono Cesanese con le due D.O.C. Cesanese di Affile, Cesanese di Olevano Romano e la D.O.C.G. Cesanese del Piglio. Sono vini con note spesso rustiche, ma che li rende unici e riconoscibili, abbinati ai piatti della tradizione contadina. Verso il mare si apre l’Agro Pontino, le vigne qui erano già citate da Orazio e da Plinio. Tra Terracina e Anzio, con i suoi 5400 ettari questa zona in provincia di Latina è la seconda per produzione nella regione. Dopo la bonifica delle paludi negli anni 30, oggi si stanno producendo alcuni vini interessanti come il Trebbiano, il Merlot, il Sangiovese, che ricordano un po’ i vini delle regioni da cui sono provenuti i coloni che bonificarono questi luoghi.
Ospiti di Mauro e Maria Rita nella loro casa immersa tra la vegetazione mediterranea, a due passi dal mare di Lavinio, gustiamo, preparati dal «patron», dei «bucatini cacio e pepe» accompagnati da un bianco prodotto con uve Viognier e Malvasia del Lazio e un’indimenticabile «coda alla vaccinara» maritata ad un ottimo Nero Buono prodotto a Cori.
Scelto per voi
Fumin Ottin
Il Fumin è stato in passato uno dei vitigni più coltivati dell’Alta Valle d’Aosta. In seguito, è stato però dimenticato, per difficoltà riscontrate in vigna. Oggi è in netta ripresa per la qualità dei vini che se ne possono ottenere.
Per la rubrica di questo numero abbiamo scelto il Fumin di Elio Ottin (frazione Porossan-Neyves, Aosta). Prodotto nella cantina di impronta famigliare, è un vino in cui si riscontrano le caratteristiche del terroir valdostano.
Questo vino matura in legno da 20 e 30 hl per 12 mesi, il colore è un rosso porpora intenso e quello che ci colpisce sono i profumi: all’inizio forti note di frutti selvatici, more, marasche, mirtilli uniti a sentori speziati, tabacco, vaniglia, chicchi di garofano; è intenso, dai tannini morbidi e di buona persistenza.
È un vino da abbinare a piatti ricchi, selvaggina, polenta concia, costoletta alla valdostana. Eccelso il Fumin provato con la tipica «Carbonade».
/ Davide Comoli