Bacco giramondo – Dai Catarratti, bianco comune, al Nero d’Avola, principe indiscusso –1a parte
È di certo un posto di primo piano quello occupato dalla Sicilia quando si parla di radici della viticoltura europea. La storia delle diverse dominazioni in questa terra è continuamente intrecciata con la presenza della vite e la preparazione dei vini.
Intorno al 1860 sulle falde dell’Etna furono trovate alcune viti di tipo ampelide di un’era geologica assai antica, l’era terziaria; segno di una antica predisposizione di una terra dove la vite cresceva spontaneamente.
Fenici, Greci, Romani, Bizantini, per secoli hanno contribuito a far conoscere il vino e la vite della Sicilia nel mondo allora conosciuto. Agli audaci navigatori Fenici, spetta il primato della commercializzazione dei vini siciliani, facendone uno dei prodotti principali per gli scambi commerciali dell’epoca.
Sicuramente erano vini dolci come sta scritto in un frammento di «orcio» ritrovato nei pressi di Gela e risalente a 1600 anni a.C., su cui troneggia la seguente iscrizione «Vino fatto con uva passa nera».
Intorno al VII sec. a.C. i coloni Greci introdussero il sistema di coltivazione ad «alberello» e i siciliani divennero esperti conoscitori delle tecniche di coltivazione non solo della vite, ma anche dell’ulivo e del grano. Nota è la predilezione di Giulio Cesare per il Mamertino (l’odierno Catarratto Bianco); tra i vini che arrivavano sulle tavole della Roma repubblicana e imperiale, citiamo il Taormino Bianco, lodato da Plinio e prodotto con l’antenato dell’odierno Inzolia e con Minnella Bianca.
L’avvicendarsi di culture diverse nei secoli successivi portò a uno sviluppo a fasi alterne della viticoltura nell’isola, dai Musulmani che azzerarono la produzione del vino, ai Normanni che finirono col portare all’estirpazione delle viti per l’eccessiva tassazione, sino ad arrivare agli Aragonesi e agli Spagnoli, che riportarono sia l’agricoltura sia la viticoltura sulla via dello sviluppo.
Va comunque agli Inglesi, il merito di aver favorito la produzione vinicola siciliana. I movimenti della flotta inglese durante il periodo napoleonico permisero infatti il sorgere della grande industria enologica siciliana, incentrata intorno alla produzione del Marsala.
La Sicilia è la maggiore isola del Mediterraneo con 26mila kmq suddivisi in un territorio prevalentemente collinare (61,5 per cento) e montuoso (24 per cento). Il clima è mediterraneo sulle coste, continentale all’interno e a tratti addirittura alpino nelle zone vinicole dell’Etna e nelle colline delle Madonie.
Nel massiccio dell’Etna i suoli formati da sgretolamento della lava, ceneri e sabbie sono ideali per il Nerello e il Carricante, mentre nella zona Sud-Est i terreni tufacei, con sedimenti calcarei sono ideali alla coltivazione del Nero d’Avola. Le isole di Pantelleria ed Eolie, sferzate dai venti di Scirocco e Maestrale, vantano terreni ricchi di tufo grigio di matrice vulcanica, dove dominano i profumati Moscato d’Alessandria e Malvasia delle Lipari.
Con i suoi 103,5 mila ettari vitati, la Sicilia è la regione italiana con la più ampia superficie vitata; da notare che ben 16mila ettari sono vitati a «coltura biologica».
L’interazione tra le culture ellenica, araba, sveva, normanna ha portato nel corso dei secoli a una ricca gastronomia, che si abbina ai molteplici vini prodotti in loco; ci riserveremo quindi di far conoscere le zone viticole e le specialità locali con il prossimo numero della nostra rubrica.
I sistemi d’allevamento più diffusi sono il «cordone speronato» e il «guyot», mentre l’antico e tradizionale «alberello» ricopre oggi solo il 10 per cento del territorio.
Oggi il 21 per cento del territorio vitato è occupato da vitigni internazionali che danno ottimi prodotti, ma quando parliamo di Sicilia, amiamo parlare di vitigni «autoctoni» che ci fanno capire meglio l’anima del territorio. Le varietà più coltivate sono i Catarratti e il Nero d’Avola.
I Catarratti bianco comune, lucido ed extra lucido, sono i più diffusi (32 per cento), grazie alla loro facilità di coltivazione e perché con pochi problemi raggiungono un ottimo grado di maturazione, donandoci vini molto interessanti di buona acidità, con un discreto contenuto alcolico e un buon corredo aromatico.
Antico vitigno è l’Inzolia (Ansonica), che dà origine a vini semplici, ma spesso usato in uvaggio con lo Chardonnay. Il Grillo è invece un vitigno ottenuto da un incrocio tra il Catarratto Bianco e lo Zibibbo; a fine 800 ha contribuito molto alla ricostruzione post-filossera: si ottengono vini di grande spessore con un notevole bagaglio olfattivo.
Il Grecanico, già descritto in alcuni documenti del 1696, ha un curioso aroma che potrebbe essere definito di lunga evoluzione, perché si riescono a percepire sentori di cioccolato bianco e meringa.
Il Moscato Bianco o Zibibbo coltivato a Pantelleria, è stato forse portato dai Fenici e ci viene da chiedere una sola cosa: chi non conosce il Passito di Pantelleria?
Nelle isole Eolie, su 90 ettari viene coltivata la deliziosa Malvasia delle Lipari, da bersi in versione Spumante, Naturale o Passito. Mentre il Frappato è un vitigno a bacca rossa che, in purezza, dona vini beverini, ma in uvaggio con altri rossi dà un vino piuttosto austero.
Il Nerello Mascalese è originario della piana di Mascali: questo vitigno ha trovato la sua terra d’elezione nello straordinario territorio vulcanico dell’Etna. Sui ripidi pendii vulcanici, allevato ad «alberello» e sostenuto da pali di castagno (l’antica «vinea»), a volte con viti a «pied-franc», dona vini di straordinaria eleganza.
Il vero principe incontrastato dei vini siciliani è tuttavia il Nero d’Avola, coltivato a memoria d’uomo ad «alberello»; ha sempre prodotto vini molto alcolici, superando senza problemi il 15 per cento di alcol. Oggi, al contrario, si cercano vini più freschi d’acidità e meno caldi, con tannini setosi e grandi potenzialità d’invecchiamento.
Tra le varietà internazionali citiamo infine: lo Chardonnay, il Syrah, il Merlot e il Cabernet Sauvignon che dona vini molto longevi.
Scelto per voi
Fontanasanta Manzoni Bianco
Il Manzoni Bianco è un incrocio tra Pinot Bianco e Riesling Renano, creato alla Scuola Enologica di Conegliano negli anni Trenta.
Il Fontanasanta che vi proponiamo è prodotto a Mezzolombardo (TN), da quella grande donna del vino che risponde al nome di Elisabetta Foradori: la donna che ha fatto conoscere al mondo il Teroldego.
Da più di una decina d’anni, Elisabetta ha progressivamente riconvertito i suoi vigneti in coltivazione biodinamica (il Fontanasanta ha la certificazione Demeter e TripleA) e da qualche tempo sta sperimentando la vinificazione in anfore.
Dal colore giallo paglierino intenso, il Fontanasanta ha un profilo olfattivo particolare con richiami di frutta a polpa bianca, soprattutto la mela renetta, profumi floreali, note d’infuso di zenzero e tè verde, con un finale minerale. È questo un piacevolissimo vino d’aperitivo che può accompagnare tartine al formaggio fresco, verdure grigliate, primi piatti con sugo di pesce.
/ Davide Comoli