Bacco giramondo – Continua il viaggio alla scoperta dei vini della Campania – Seconda parte
In Campania le aree adatte alla viticoltura si trovano un po’ ovunque, grazie ai terreni sciolti, profondi e fertili, ricchi di ferro, sabbia, argille e scorie vulcaniche. Anche l’ottima base ampelografica, la perfetta esposizione, gli inverni miti, le estati tiepide, le piogge concentrate nei periodi autunnali e il clima temperato, rendono naturale la diffusione della viticoltura in tutta la regione.
Possiamo quindi affermare, senza timore di essere smentiti che, oltre alle splendide isole e le zone intorno al Vesuvio, anche il vino ha la sua parte nell’attirare in Campania migliaia di appassionati intenditori di questa bevanda.
Oltrepassato il confine con il Lazio, nella fascia costiera compresa tra Formia, Mondragone e Sessa Aurunca, entriamo in provincia di Caserta, nella zona di produzione del Falerno del Massico; nome che ricorda il famoso vino prodotto nell’antichità, sebbene nessuno può dire quanto del vecchio ci sia in quello prodotto oggi. Noi possiamo al massimo affermare che comunque quello provato da noi a Caianello, prodotto in prevalenza con Aglianico e Primitivo e gustato con il classico «capretto con piselli all’uovo» non verrà certo dimenticato.
Sta crescendo pure l’interesse per l’Alto Casertano nei dintorni di Caiazzo, dove viene coltivato il Pallagrello Bianco, che con le sue note aggrumate è l’ideale compagno per il polpo e le patate al forno.
Riprendendo la strada verso Napoli, facciamo sosta a Caserta per visitare la famosa Reggia eretta dal Vanvitelli, dove nei pressi gustiamo un ottimo Asprinio vinificato con il metodo Martinotti, gustando, e dove se non qui, l’immancabile «Pizza». In provincia di Napoli, le aree più interessanti per la viticoltura sono quelle sulle colline litoranee, in particolare quelle dei Campi Flegrei, della penisola Sorrentina – dove i terreni sono ricchi e profondi, e i vigneti nell’area dei Monti Lattari sono a terrazze –, del Vesuvio, delle isole di Capri, Ischia e Procida.
Nell’area di Napoli, le varie tipologie di terreni donano realtà vitivinicole differenti, Falanghina e Piedirosso, dai quali si ottengono vini freschi e moderati, ma di modesta struttura: vengono coltivati nelle sabbie silicee dei Campi Flegrei.
A Capri la vite (piccola produzione) viene allevata a pergola o spalliera, in loco si produce una Falanghina di media struttura, da bersi con un’estiva «insalata di vermicelli». Nell’isola di Ischia i terreni in genere sono lavici e tufacei, i vigneti si trovano in zone scoscese del vulcano spento Epomeo (788 m). Ischia fu probabilmente la prima colonia greca VII a.C. durante le loro peregrinazioni nel Mediterraneo, a cui diedero il nome di «Pithekoussai» (isola dei grandi vasi di terracotta) e gli Eubei che la colonizzarono portarono senza ombra di dubbio la viticoltura. I vitigni più coltivati sono per quelli a bacca bianca il Forastera e il Biancolella, per i rossi il Piedirosso: indimenticabile questo vino che annaffiò il nostro «coniglio all’ischitiana» in una lontana Pasqua.
L’Irpinia, in provincia di Avellino, esprime tre eccellenze in campo enologico, il Fiano d’Avellino, il Greco di Tufo e il Taurasi.
Situati sulla media collina i vigneti del Fiano sono formati da argille ricche di fosforo e potassio. La zona eletta per la sua produzione è quella del Lazio: lo consigliamo da bere un po’ maturo, magari con una «frittata di friarelli» con abbondante formaggio grattugiato, oppure alla famosa minestra maritata, dove alle carni di maiale e gallina, vengono aggiunte sette differenti erbe.
Il Greco di Tufo è prodotto nel cuore dell’Irpinia, dove troviamo miniere di zolfo e cave di tufo, è un vitigno che matura in ottobre, dona dei vini sapidi con sentori di ginestra e fiori di sambuco, con un piacevole retrogusto di nocciola tostata, da provare con dei crostacei.
La zona del Taurasi comprende diciassette comuni (tra cui Taurasi). Qui la vite viene coltivata a spalliera bassa, e il vino prodotto è considerato uno dei migliori vini prodotto nel mezzogiorno d’Italia, è frutto del vitigno Aglianico (almeno 85 per cento), il quale è un vitigno originario della Magna Grecia: il suo nome deriva dalla volgarizzazione del termine «ellenikon». Prima di essere commercializzato deve obbligatoriamente invecchiare tre anni di cui uno almeno in botte, 4 anni e almeno 18 mesi in botte per la «Riserva». Questo vino ha un colore rubino intenso tendente al granato, con note di ciliegie, fragole e in opposizione cuoio e spezie amare. È un vino molto complesso, da abbinare a piatti di carne a lunga cottura.</p
Prima di scendere verso Salerno, risaliamo verso la provincia di Benevento, dove si producono quasi la metà dei vini della regione e si nota una notevole trasformazione a livello qualitativo, ne è testimone la D.O.C.G. Aglianico del Taburno. Qui ci troviamo alla confluenza del fiume Isclero nel più conosciuto Volturno, dove il monte Taburno (1394 mslm) domina la vallata circostante e la cittadina di Dugenta, dove vengono coltivati pressoché tutti i vitigni campani. Qui è nata la D.O.C. Sannio, dove abbiamo provato l’autoctono Sciascinoso, vino da bere giovane, con profumi intensi di prugna e mirtillo, abbinati a «salsicce di bufalo»; pasto per digerire il quale ci siamo fatti aiutare dal liquore «Strega» prodotto in queste zone.
In provincia di Salerno incontriamo la D.O.C. più meridionale della Campania; è un’area vastissima e variegata, con terreni poveri a sfondo argilloso e privi di materia organica. La vite viene coltivata nel territorio sud-ovest nelle vicinanze del fiume Calore. Dal punto di vista qualitativo troviamo la D.O.C. «Costa d’Amalfi» con i 13 comuni della costiera, dove il Biancolella e la Falanghina da bere con «spaghetti con la colatura di alici di Cetara», caratterizzano il vino bianco, mentre il Piedirosso, l’Aglianico e il Sciascinoso, il rosso.
Scendendo più a sud, troviamo nel grande Parco del Cilento la D.O.C. omonima e gli otto comuni che producono la D.O.C. San Lorenzo, dove abbiamo concluso il nostro viaggio bevendo un fresco rosato prodotto con uve Barbera/Sangiovese, con un saporito «vermicelli marechiaro»: frutti di mare, gamberi, pomodori freschi, aglio, pepe e prezzemolo.
/Davide Comoli