Vino nella storia – Dall’Iran, le trasognate quartine di un erudito che godeva di grande stima presso i sapienti e i potenti del suo tempo
Omar Khayyâm è uno dei massimi e più celebri uomini di cultura dell’Iran. Non sappiamo quasi nulla della sua nascita, eccetto che avvenne in uno degli anni della prima metà del V secolo dell’Egira (migrazione), nel 1030 d.C. circa. Anche della sua vita abbiamo notizie molto scarse e, per quel poco che sappiamo, sono frutto di aneddoti e antichi riferimenti alla sua opera o alla sua persona. L’immagine che ci è pervenuta mostra un uomo molto saggio e attento a tutto ciò che lo circonda.
Senz’altro Omar Khayyâm fu un uomo molto erudito che godeva di grande stima e privilegio presso i sapienti e i potenti del suo tempo: oltre a sapersi districare in matematica (sua l’introduzione all’algebra), fisica, astronomia (fece parte della commissione incaricata di riformare il calendario secondo calcoli astronomici), filosofia e medicina (seguendo Avicenna), fu anche un poeta, e a noi piace pensare a lui come un umanista in anticipo di qualche secolo sull’Umanesimo.
Impossibile non provare ammirazione e rispetto per un tal personaggio che, pur apparendo quantomeno controverso, per alcuni fu ateo, scettico, propenso alla bestemmia; per altri invece (tra cui noi), fu un filosofo e autore di versi intrisi di filosofia epicurea, i quali ripetono spesso un vecchio refrain, già espresso da molti prima di lui: «Bevi e sii felice». Attenzione però a non dedurre dalle Quartine che Omar Khayyâm fosse un uomo dissoluto, noncurante, fu invece solo un grande estimatore e bevitore di vino. Nel linguaggio dei poeti, il vino assume spesso il significato di mezzo per arrivare alla felicità e tranquillità della mente. «Sappi che l’attimo è una bottiglia» recita il poeta, e invitava ad afferrarlo questo attimo «Carpe diem!», Orazio, più di dieci secoli prima.
È solo grazie al letterato inglese Edward Fitzgerald (1809-1923), affascinato dai bei versi, se l’opera di Khayyâm divenne nota: egli, infatti, nel 1859 li traspose nella propria lingua e fu subito un successo. Evidentemente il pensiero di Khayyâm interessa ancora molta gente visto che le sue Quartine sono tradotte nei quattro angoli del mondo. Forse anche personaggi come Baudelaire e Neruda si ispirarono a lui.
Nato e vissuto in area musulmana e in modo inequivocabile di cultura islamica, in un periodo in cui in Europa l’imperatore Enrico IV e il pontefice Gregorio VII, dentro le mura del castello di Matilde di Canossa, si scontravano su chi avesse il diritto di nominare i vescovi, Omar Khayyâm è per noi «enofili» un vero «Maestro».
La poesia che ci è giunta dall’antica Persia – vedi Abu Nawàs (760-815 d.C.), Hafez (1319-1390) – è intrisa di suoni e colori tipici del mondo orientale, del profumo delicato dei fiori, dei colori delle pietre preziose e degli accordi del liuto pizzicato da giovani fanciulle. Ma tra questi poetici arabeschi, il vino occupa una posizione di rilievo e Omar Khayyâm ne è un fine estimatore: «Rosa rossa è il vino, la coppa è d’acqua di rosa. Nel fior di cristallo riposa un rubino vergine. Nell’acqua della vite, sfolgora un rubino fuso». Nelle sue quartine ritroviamo molta saggezza, come quella che contiene un impensato invito alla moderazione nel bere: «Se bevi vino, bevilo insieme ai sapienti. O insieme a una bella fanciulla dal volto di tulipano; non prenderne molto, né di frequente, né in pubblico. Ma poco, ogni tanto e in segreto». Ma molto probabilmente, come capita a tutti noi, si tratta della debolezza di un attimo, dettato chissà da che cosa, perché subito dopo aggiunge: «O Khayyâm, sei ebbro di vino, sta lieto. Se te la spassi con belle dal volto di luna, sta lieto. Poi che ogni cosa del mondo nel nulla finisce, pensa che tu sei nulla, ma già che ci sei, sta lieto».
Cari lettori che ci seguite, vi dobbiamo confessare che un piccolo volume delle opere di Khayyâm è sempre inserito nella nostra borsa da viaggio insieme alle cose necessarie (medicamenti e igiene personale), i temi trattati, che vanno dal trascorrere del tempo, ai piaceri, alle tristezze, il senso della vita e della morte, grazie al vino (per cui Khayyâm fu accusato di empietà) come simbolo vengono legati tra loro da un filo doppio. Spesso la lettura di queste quartine ci ha fatto compagnia, donandoci momenti di serenità, aiutandoci a godere della vita con un po’ più di filosofia e distensione.
La lettura delle quartine possiede uno stile e un’eleganza trascinanti: il poeta non adorna i suoi scritti e non ostenta la sua arte, sa di essere ironico, senza mai essere canzonatorio, non è mai ostile al prossimo e con parole dense di riflessione, offre consigli e ammonimenti. Qualche volta Khayyâm avverte l’opportunità di fornire un ragionevole motivo per la sua grande passione per il vino: «Se io bevo vino non è per un mio piacere personale e non è per sregolatezza o sprezzo della religione o della morale. No. È solo per respirare una boccata d’aria fuori da me stesso».
Sappiamo dagli aneddoti che Khayyâm rifiutò spesso alte cariche che gli venivano offerte, preferendo una piccola indennità che gli consentisse di dedicarsi ai suoi studi: «Felice, in questo mondo colui che condur seppe libera vita. E sempre contento di quel che Dio donava, ebbe libera vita. Da ogni momento dell’esser suo, seppe trarre allegria sana. E, amor puro e vino schietto, fare gaia e libera la vita». Altre volte, magari in momenti negativi, sfida il difficile terreno religioso, ponendo i suoi problemi direttamente al Creatore: «Tu sei il Creatore, e me così Tu creasti, così follemente amante del vino e delle belle canzoni! Poiché così mi formasti già fin da prima del Tempo, per qual mai ragione poi nell’Inferno mi getti?».
Problemi che, tuttavia, grazie alla vicinanza di una fanciulla e un calice colmo di vino possono essere risolti: «Da una mano la coppa, e dall’altra le belle trecce. Seduti al bordo di un prato di buon paesaggio e gaiezza. E bere, bere, non pensando alla sfera ove girano i cosmi. E bere, bere da crollare, ebbri insieme del vin d’ebbrezza».
In molti versi del Corano, il Paradiso viene presentato come il luogo dove si realizzano tutti i desideri, fiumi di latte, vino speziato, miele, giovani fanciulle di bellezza straordinaria, ma il poeta pur non negando tutto ciò… «Dicono: Domani avremo le Huri, il celeste Gange. Ruscelli di zucchero e latte, polle di miele e vino! Intanto, empi la coppa e dammi vino di quaggiù: un solo zecchino supera la beltà di mille promesse».
Grazie alla nostra guida Mohamoud, nel maggio di qualche anno fa, giungemmo alle porte di Nishapur, nell’Iran nord-occidentale, dove con grande emozione abbiamo visitato il luogo dove Omar Khayyâm fu sepolto. Spirava un leggero vento che faceva cadere i fiori di pesco dai rami sopra il muro che circonda il giardino. In quell’oasi di pace, lo stormire delle foglie ci portò alla mente una delle quartine più famose: «Sotto un rosaio, accanto un idolo, a un ruscello col vino, gusterò la mia gioia, finché vorrà il Destino. Fin quando fui, sono e sarò, nel mesto mondo, bevvi, bevo e berrò».
/ Davide Comoli