Vino nella storia – Non solo intravisto nel girovagare dell’Odissea o decantato nei momenti di convivialità, ma anche ben descritto e trattato saggiamente da un punto di vista agricolo
Il primo grande incontro tra il vino e la poesia, l’abbiamo trovato da adolescenti, quando studenti (poco vogliosi) frequentavamo il Collegio Don Bosco di Borgomanero. Lo studio dei due poemi omerici l’Iliade e l’Odissea, pur senza l’aiuto della divina bevanda, ci fece volare e sognare, segnando un po’ la via che avremmo intrapreso.
Sembra che fosse stato Pisistrato, ateniese e uomo politico di grande cultura (600-528 a.C.), a suddividere entrambi i poemi in 24 canti, istituendo nella sua città una commissione di poeti e letterati per la raccolta e l’ordinamento dell’Iliade e dell’Odissea.
Omero, è il poeta di un’arcaica convivialità. Sia nell’Iliade sia nell’Odissea, si possono individuare molti riferimenti ai modi di bere e ai vini di quei tempi molto lontani. Il vino scorre a fiumi fra i versi dei poemi omerici; intercalati dalle gesta di guerrieri, bevono Greci, ovvero Danai, Troiani e da genti di molti altri Paesi. Più che fondato quindi l’appellativo che il poeta latino Orazio volle attribuire all’aedo greco: «Vinosus Homerus». Raccontando delle città d’origine dei capi degli Achei, descrivendone i pregi, non trascura di segnalare tra questi la presenza di rigogliose viti, tracciando pure un quadro geografico della distribuzione dei vigneti, ancora oggi abbastanza attuale e dal quale abbiamo tratto sicuro vantaggio nei nostri viaggi.
«Arne dai molti grappoli d’uva… Istiea ricche di vigne… Epidauro ricca di vigneti…» sono solo alcune zone descritte. Il poeta cita anche Pramno come uno dei luoghi famosi per il suo vino. Se ben ricordate, è proprio il vino di Pramno che Circe, la famosa maga, mescolandolo a droghe, offre ai compagni di Odisseo, o Ulisse che dir si voglia, prima di trasformarli in porci (Odissea X, 223-234).
Il vino di Lemno viene dato agli Achei come premio per aver costruito in modo veloce un muro di difesa dagli attacchi troiani: «erano là a riva molte navi, venivano da Lemno con un carico di vino… le inviava Euneo» (Iliade VII, 467-471).
E come si arguisce dalla traduzione di Vincenzo Monti (1754-1828) – la traduzione dell’Iliade e dell’Odissea fu senz’altro il suo capolavoro – il vino, almeno nel campo Acheo, dove più agevoli erano gli approvvigionamenti, veniva consumato in grande quantità.
Vale la pena concederci anche una curiosità: Omero definì il vino di Euneo «amichevole dono», il testo greco dice chilia metra, ossia mille misure e Vincenzo Monti tradusse metra in sestieri. Noi volevamo sapere di più, con alcuni amici abbiamo consultato il vocabolario Greco-Italiano del Rocci, il quale citando proprio il VII libro dell’Iliade, dice che il metron greco è probabilmente da identificare con il sáton cartaginese, cioè circa 12 litri. Quindi, mille misure fanno se non sbagliamo 12mila litri o se preferite 120 ettolitri. Ecco il perché si dice: «una bevuta Omerica»!
Nell’Odissea (V, 68-69), Omero narra la bellezza dell’isola di Ogigia, dove Odisseo visse sette anni con la ninfa Calipso, raccontando la sua rigogliosa vegetazione e sottolineando che «si stendeva vigorosa con i suoi tralci intorno alla grotta profonda la vite, tutta carica di grappoli».
Da Omero a Esiodo, definito il poeta contadino: era nativo della Beozia e cronologicamente si situa subito dopo l’età dei poemi omerici. Le sue opere sono considerate altrettanto importanti. Vissuto tra l’VIII e il VII sec. a.C., fu autore fra l’altro delle Opere e Giorni, poema del lavoro georgico, costituito da 828 esametri.
Nella sua opera non troviamo guerrieri né imprese belliche, ma le costellazioni, i contadini con i loro aratri, i segni della natura, vendemmie e mietiture.
A proposito della viticoltura, il poeta riconosce nell’arco dell’anno cinque momenti riferibili alla vite e al vino: la potatura, la zappatura, la vendemmia, il vino nuovo e il momento nel quale il vino è migliore da bere. Fra queste fasi la potatura e la vendemmia risultano fondamentali.
Per meglio istruire sul momento migliore per eseguire queste operazioni, Esiodo utilizza segnali di diverso tipo per essere meglio compreso. Per la potatura, ad esempio, vengono indicati limiti temporali connessi a dati astronomici, al comportamento delle rondini, all’arrivo di una nuova stagione.
La zappatura delle vigne deve essere eseguita in un tempo limite, determinato dal momento in cui la «porta-casa» (vale a dire la chiocciola) sale sugli alberi o dal momento in cui le Pleiadi risultano percettibili nella luce del crepuscolo (maggio).
Il tempo della vendemmia, mostra la sua importanza nella serie di lavori agricoli e per il numero di riferimenti astronomici che ne permettono il calcolo; questi eventi corrispondono all’incirca alla metà di settembre e il poeta scrive: «Quando Orione e Sirio son giunti a mezzo del cielo e Arturo può esser visto da Aurora dalle dita di rosa, o Perse, allora tutti i grappoli cogli e portali a casa. Tienili al sole per dieci giorni e dieci notti, per cinque conservali all’ombra, al sesto versa nei vasi i doni di Dioniso giocondo».
Oltre alle istruzioni sul periodo della vendemmia, Esiodo dà anche indicazioni su come trattare l’uva raccolta. Dopo la pigiatura e la fermentazione, il momento in cui è pronto il vino nuovo è a sua volta segno di altri avvenimenti, come l’arrivo del brutto tempo, la chiusura dell’anno agricolo e l’impossibilità di navigare.
Vogliamo ricordare ai nostri lettori che una vendemmia fatta a settembre, quando l’uva era veramente «percocta», cioè molto matura, dava un vino ad alta gradazione alcolica e per questo forse fra gli antichi Greci non era consuetudine bere vino puro.
Scelto per voi: Carrara 2016
Qualità, esclusività, innovazione in campo enologico e la grande passione per la viticoltura, è questo in sintesi il personaggio Giuliano Cormano.
Con la moglie, Giuliano ha profuso il suo impegno non solo per il dono di Bacco, ma le persone che si recano nella sua Cantina possono pure spaziare su altre delizie culinarie come: olio, aceto balsamico, confetture e persino del cioccolato che la «maison» produce.
La bassa resa in vigna su vecchi ceppi hanno permesso di produrre vini pluripremiati nei vari concorsi. Il «Carrara» che oggi vi proponiamo è prodotto con uve Merlot cento per cento, coltivate su di un appezzamento di 0,5 ettari in quel di Morbio Inferiore.
I ceppi di Merlot vecchi di 35 anni, hanno regalato un vino che, dopo essere stato affinato per 12 mesi (metà barrique, metà inox), ci dona un rosso dove si fondono note di lamponi e frutti rossi, con sentori balsamici che maturando ci fanno avvertire quelle sfumature di sottobosco e tartufo bianco, le quali ci trasportano con la mente in un viaggio olfattivo mai dimenticato. Pulito e molto fine, lo consigliamo con un risotto alle animelle o con un filetto di manzo al pepe.
/Davide Comoli