Il vino nella storia: la vicenda di tre grandi produttrici che hanno segnato la storia dell’enologia.
ra il 1805 quando Barbe Nicole Clicquot-Ponsardin, divenne vedova in seguito al decesso accidentale di suo marito. Madre di una piccola bimba (Clementine) avuta dal suo breve matrimonio e appena ventisettenne, non si perse d’animo e prese in mano la piccola azienda famigliare di commercio di vini la «Maison Clicquot & Fils».
Con l’aiuto di fidati collaboratori che erano stati vicini al defunto marito, incominciò l’apprendistato nel, a lei poco conosciuto, mondo vinicolo. Nel 1810 trasforma la «Maison Clicquot & Fils», per motivi giuridici in «Veuve Clicquot-Ponsardin», trasformandola da azienda commerciale a produttrice di champagne.
Le foto dell’epoca ci mostrano una donna dal volto risoluto. È il viso di una manager, dinamica, audace con l’intelligenza, allora assai rara, di opporsi al dominio maschile nel campo vitivinicolo, tanto d’arrivare e collaborare con essi. A poco a poco, con grande lungimiranza, acquista le migliori parcelle vitate, migliora la produzione del vino e fa costruire delle nuove cantine, insomma in poco tempo sotto la sua guida la sua «Maison» diventa una delle più belle e famose in Champagne.
Per arrivare a questi livelli Mme Veuve Clicquot, dovette comunque rischiare molto. A lei infatti viene attribuita l’idea di forzare il blocco navale a cui era soggetto in quel periodo storico la Francia di Napoleone e mandare in Russia in dono alla zarina, in attesa di un figlio, 30’000 bottiglie del suo champagne.
Inutile dire che tutto andò a buon fine e grazie a lei la Russia fu inondata in seguito da fiumi di Klikoskoie, il nome russo dello champagne. A quell’epoca il vino di champagne poneva ancora qualche problema: i depositi rendevano il vino torbido. Bisognava quindi aspettare affinché si potesse travasare il vino per poterlo illimpidire. Ma il tempo mancava e la richiesta del suo prodotto era molto grande, bisognava trovare una soluzione. Grazie all’aiuto del cantiniere di origine svizzera, impiegato nella cantina Clicquot-Ponsardin, Antoine Muller, che lavorò nell’azienda dal 1810 al 1816. La vedova ebbe la luminosa idea di mettere a punto il processo di «remuage» e di «dégorgement» ideando il procedimento di decantazione: dal fianco alla punta, costruendo le prime «pupitres». Il prodotto perso dopo la sboccatura veniva rimpiazzato da una «liqueur» (pratica che si svilupperà a fine 800).
Nel 1815 nasce il primo champagne millesimato e nel 1828 il primo rosé d’assemblaggio. Utilizzando tecniche di marketing moderno, fece mettere sulle etichette (ora sui tappi) il simbolo della cometa che nel 1811 aveva attraversato il cielo della Champagne, come augurio di una buona raccolta, questo simbolo è ancora oggi l’emblema della «Maison». All’età di 89 anni questa grande donna manager, lascia questo mondo, è il 1866, ma prima della sua dipartita, Mme Clicquot può osservare l’ascesa di un’altra vedova dello Champagne, Mme Pommery, di cui si parlerà molto.
Era il 1839 quando Louise Alexandrine Melin, allora ventenne, sposò Alexandre Pommery, socio di una «Maison negotiant» di vini di champagne. Nel 1856 A. Pommery ne divenne il proprietario, cambiando il nome dell’azienda in Pommery. Purtroppo fu breve gioia, perché dopo un anno spirò. A 38 anni la vedova Louise, decise di continuare l’opera del marito, avendo negli anni acquisito esperienza nel settore. Piena d’ambizione decise di creare una «Maison» di champagne fuori del normale. Tra il 1868 e il 1888, passo dopo passo, fece costruire a Reims un castello stile elisabettiano, molto in voga all’epoca e soprattutto fece scavare nelle famose crayères (sottosuolo della Champagne) 12 km di gallerie in modo da far riposare il vino ad una temperatura costante di 10° C.
In effetti era necessario avere un luogo adatto per la creazione dello champagne, che all’epoca era ricco di zucchero, sino a 200 grammi per bottiglia. Essendo un vino dolce, creò per la clientela britannica, abituata a bere vini secchi, uno champagne «dry», nacque così il primo Pommery brut Nature. Ridurre lo zucchero che mascherava certi tipi di difetti del vino significò un grande successo, si deve quindi a questa intraprendente figura di donna se oggi noi beviamo champagne a tutto pasto e non soltanto come vino da dessert, come tradizione voleva. Le immagini allegre che ci sono pervenute, mostrano come in quella che fu chiamata la Belle Époque, nobili, dame, ballerine e cortigiane, conquistano e irretiscono avendo come alleato lo champagne.
Anche in Piemonte, forse più discretamente, operò una grande donna all’inizio del 1800, Juliette Victurine nata Colbert, francese purosangue e nipote nientemeno che del grande ministro Colbert. Nel 1810 il marchese Tancredi Falletti di Barolo la conobbe alla corte di Napoleone e subito s’invaghì di questa bellissima donna e la sposò. Nel 1814 la coppia si trasferisce a Torino, centro di ritrovo politico e intellettuale. Molto impegnata culturalmente, pochi sanno del suo impegno nel sociale, Giulia Falletti, accoglie nel suo castello di Barolo le ragazze madri e le donne in difficoltà, opera quasi unica in quei tempi, inoltre la marchesa Falletti s’interessa anche dei possedimenti di famiglia a Serralunga, Barolo e Morra, soprattutto dopo la morte del marito nel 1838.
Insieme a Camillo Benso conte di Cavour, che possedeva a Grinzane una tenuta vicino a quella dei Falletti, poco soddisfatta dei risultati ottenuti dai vini prodotti sulle sue terre con i metodi allora in voga, chiamarono dalla Francia un celebre enologo e viticoltore del tempo, Louis Oudart. Era il 1846 nasceva quello che definitivamente verrà chiamato il vino «Barolo».
Barolo Pio Cesare 2010
Rosso granato con sfumature aranciate, il vino libera al naso profumi di viole e rose passite, prugne, spezie e note di liquirizia, in bocca c’è una densità vellutata propria dei grandi vini, alcune note minerali con tannini ben presenti, un vero concentrato di equilibrio e armonia, questo è il Barolo Pio Cesare 2010. Antica e famosa casa vitivinicola fondata nel 1881, le cui vigne coltivate a Nebbiolo si trovano sulle ondulate colline tra Serralunga, Castiglione, Barolo e Verduno, quattro comuni degli 11 cha danno origine alla D.O.C.G. Barolo e che si trovano nel cuore delle Langhe.
Il «nettare» va aperto almeno un’ora prima di essere servito ad una temperatura che varia tra i 18°/20° C, il Barolo entra a far parte di numerose ricette per insaporire, caratterizzare numerosi piatti, ma noi ve lo consigliamo come abbinamento ad un risotto al tartufo bianco con la sua tipica esuberanza gusto/olfattiva, ma scomodate il vostro Barolo soprattutto con la selvaggina di cervo e capriolo, salmì con polenta e a fine cena con dei formaggi erborinati con profumi ed aromi penetranti come il Gorgonzola, il Bleu d’Auvergne o al Castelmagno stagionato.
/di Davide Comoli