Bacco giramondo – Marsala, Malvasia delle Lipari, Grillo, Mozia, Zibibbo, Frappato, Nero d’Avola e tanti altri – 2a parte
Negli ultimi due decenni, la vitivinicoltura sicula ha fatto passi da gigante; un ruolo importante, oserei dire determinante, è stata l’introduzione dei vitigni internazionali, che magari in uvaggio con i vitigni tradizionali dell’isola hanno ridato nuova linfa alla produzione vitivinicola.
Per chi non conosce l’isola consigliamo di seguirci in questo ipotetico percorso per meglio conoscere le zone vitivinicole di questo territorio affascinante, ricco di storia e di cultura, dove il sole lancia i suoi strali ardenti permettendo ai grappoli di maturare in modo ottimale e uniforme. Una prima parte è stata già esplorata nell’articolo del 1. marzo.
La provincia di Trapani occupa circa la metà della superficie vitata dell’isola (45 per cento) e produce inoltre la maggior percentuale di vini D.O.C. in Sicilia, grazie soprattutto al Marsala, vero ambasciatore di questa provincia. Il Marsala, il più nobile dei vini siciliani, fu scoperto nel 1773 da John Woodhouse, un intraprendente inglese di Liverpool. È questo un vino da gustare con formaggi erborinati, soprattutto di capra.
Vitigno simbolo del Trapanese è però il Grillo, che matura lungo i litorali sabbiosi/rocciosi della costa tra Marsala e Mazara del Vallo, fino alle colline calcareo/argillose lungo la strada che porta ad Alcamo. Trapani è un grosso distretto diversificato sia nella produzione sia nel paesaggio. Non si può lasciare questa provincia senza aver provato l’emozione di gustare il vino di Mozia (vino dei Fenici), riprodotto da un vecchio vigneto di uve Grillo, nella minuscola isola di San Pantaleo, situata sull’estrema punta dell’isola in un angolo ricco di sale e iodio. Il vino di Mozia riemerge dal passato, agli albori dell’enologia; è dolce e gradevole, con sentori di pistacchi, fichi secchi e sfumature di miele selvatico, da gustare con i dolci a base di mandorle di Erice.
E che cosa dire, in questa dolcissima Sicilia, dello Zibibbo (dall’arabo Zabib, uva passa)? Così viene chiamato il Moscato d’Alessandria, coltivato sui terreni vulcanici dell’isola di Pantelleria. Il mio consiglio? Provate a creare un delizioso abbinamento tra questo dolce nettare e la classica «cassata siciliana».
Scendendo verso sud, sulla strada che conduce a Sciacca, attraversata la foce del fiume Belice, entriamo in provincia di Agrigento, ricca di mare e cielo azzurro. Qui si respirano profumi balsamici che predispongono gli animi per meglio gustare i vini prodotti a Santa Margherita del Belice, Sciacca, Sambuca di Sicilia e Menfi con i sapori mediterranei della cucina locale.
La base ampelografica è costituita per l’80 per cento di uva a bacca bianca: Catarratto, Trebbiano Toscano, Inzolia. Tra quelle a bacca rossa prevale invece il Calabrese (Nero d’Avola) e il Nerello Cappuccio.
Dopo aver fatto degustazioni nelle varie cantine intorno al lago Arancio e a Sambuca, non perdetevi l’occasione di fermarvi a bordo mare nel villaggio di Porto Palo: indimenticabile resta nella nostra mente il grosso dentice al forno, condiviso con l’amico Paolo e altri, innaffiato dall’ottimo bianco locale.
Dalla Valle dei Templi, prendete verso nord, attraversate Canicattì e raggiungete Caltanissetta. Quarta per quantitativi prodotti, è una zona in forte espansione sia per uva da tavola (allevata con grosse pergole) sia per uva da vino: curiosi i Barbera e i Sangiovesi provati qui; ottimo il rosso Frappato abbinato a eccellenti caciocavallo e formaggio pecorino; pranzo concluso con il classico amaro Averna prodotto in loco.
Interessanti in provincia le D.O.C. Butera e Riesi. Poco più a nord-ovest raggiungiamo Enna, qui la viticoltura raggiunge i 1100 m s/m e le basse temperature primaverili possono danneggiare le viti. I comuni vitivinicoli più importanti oltre a Enna sono: Nicosia, Aidone e Piazza Armerina. Ma per appassionati di storia come noi, non possiamo lasciare la provincia senza fermarci a Centuripe, dove intorno al VI sec. a.C. fu scritta per la prima volta (in Italia) la parola «OINOS» (vino) sul coperchio di un otre di terracotta.
Il vero leader dell’area vitivinicola Siracusana e Ragusana è il Nero d’Avola con l’80 per cento della superficie vitata; troviamo pure il Frappato, mentre di recente introduzione è il Perricone, ma il fiore all’occhiello della provincia di Ragusa è il Cerasuolo di Vittoria, centro da visitare a luglio durante la fiera del vino siciliano. Senza dimenticare di provare i due Moscati, quello di Noto e quello di Siracusa; forse il vitigno più antico d’Italia, arrivato con i coloni Greci attorno al VII sec. a.C.
La viticoltura in provincia di Catania è fortemente influenzata dal vulcano dell’Etna, le forti pendenze, la variabilità del clima ma soprattutto la ricchezza minerale del terreno, condizionano non poco la maturazione e la produttività delle viti che si trovano sui versanti. Assolutamente da provare il Carricante, da cui si produce l’Etna Bianco Superiore, che dà il meglio di sé dopo qualche anno dalla vendemmia nel territorio di Milo e il Nerello Mascalese, veri spettacoli naturali, con i tronchi contorti vicinissimi tra di loro.
Nel versante sud troviamo antichissimi vitigni che rischiano di scomparire, il Nebbiolo Cappuccio, la Visparola, da provare pure a Randazzo il vino prodotto dal vitigno Alicante (di origine spagnola), sopravvissuto alla filossera di fine Ottocento. Da poco si produce anche un ottimo Pinot Nero, da provare con il capretto pasquale.
La provincia di Messina, in passato famosa per il suo Mamertino, è ora in una situazione piuttosto statica essendo una zona montuosa poco vocata alla coltivazione della vite. Ma sulle isole Eolie, e più precisamente a Salina e Stromboli, si producono dei vini passiti più nobili, come la Malvasia delle Lipari, ottenuto dall’omonimo vitigno: ha intensi profumi, ed è ottima con i dolci a frutta secca, come fichi, datteri, uva passa e confetture.
Attraverso territori assai vari, colline, pianura, fascia costiera, si possono poi visitare, diretti a Palermo, le D.O.C. Contea di Sclafani, Monreale, Contessa Entellina. A questi ambienti corrispondono microclimi diversi che consentono di coltivare vitigni sia a bianchi sia a rossi, dai freschi Catarratto, Inzolia, Nero d’Avola e belle espressioni di Merlot, Syrah, Cabernet Sauvignon; indimenticabile a Monreale, il carpaccio di tonno e spada con un bianco prodotto da uve Sauvignon/Viognier.
Il nostro viaggio termina a Mondello, davanti una bottiglia di Grillo che accompagna la pasta con le sarde preceduta da una profumatissima caponata di verdure. Confessiamo d’aver lasciato sull’isola un pezzo del nostro cuore.
Scelto per voi
Pinot Grigio Felluga
Da decenni i vini con la classica etichetta fregiata da una carta geografica sono presenti su tanti mercati, mietendo molti successi per merito dei figli ed eredi di quel patriarca del vino che fu il friulano Livio Felluga. A ridosso del confine sloveno, tra Isonzo e lo Judrio, pendii esposti a mezzogiorno – protetti dalle Prealpi Giulie e favoriti dalla vicinanza del mare – creano le condizioni ideali per la produzione di ottimi vini bianchi.
Il Pinot Grigio che vi consigliamo viene allevato con grande rispetto per la natura: riducendo al minimo gli interventi antiparassitari. Alla perfetta maturazione delle uve segue la naturale vinificazione e macerazione, dove il vino riposa sei mesi sui suoi lieviti. L’imbottigliamento avviene senza chiarifica.
Questo Pinot Grigio, unico per il suo carattere, si presenta con un colore giallo dai riflessi ramati, e ci colpisce con le sue sfaccettature di frutta, fiori, mineralità e una stratificazione aromatica rara da trovare, che aggiunge un incredibile equilibrio e un’invidiabile persistenza aromatica. Vino molto versatile per antipasti misti, minestre corpose e piatti sia di pesce sia di carni bianche, preferibilmente lessate o arrostite.
/ Davide Comoli