Vino nella storia – Non tutto è dovuto a Dom Pierre Pérignon, ma senza di lui forse non esisterebbe il noto spumante
Nello stesso periodo in cui nascevano i grandi crus bordolesi – tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo – nasceva anche lo Champagne, o così almeno narra la storia, sebbene sia accompagnata da molta confusione e altrettanta incerta leggenda, e sebbene non sia di certo condivisa da molti storici.
Nel Medioevo, i vini della zona dell’odierna Champagne erano chiamati vins de Rivière o ancora vin d’Ay: si trattava soprattutto di vini bianchi, poiché i vini rossi che si producevano intorno a Reims venivano chiamati vins de la Montagne.
Sarà Charles Estienne, che nel corso del XVI secolo, per differenziarli dai vini prodotti nel resto della Francia, li chiamerà vins de Champagne. I due principali vitigni presenti a quell’epoca erano il Govais che dominava i vigneti della «Montagne» (che sovrastavano i vigneti della Rivière, e dai quali si ricavava un vino rosso) e il Fromenteau di colore grigio rosato, con cui si producevano vini bianchi, che i contadini del luogo definivano sur la langue friand, a significare che erano già apprezzati quindi per la loro frizzantezza.
A metà del XVII secolo, i vignerons della Rivière decisero di produrre un vin gris a partire da un nuovo vitigno di qualità superiore: il Pinot Nero. Il nuovo vitigno veniva vendemmiato mezz’ora dopo il levar del sole, vale a dire tra le 9 e le 10 h. Poi veniva pressato molto lentamente, cercando di non macchiare il succo della prima torchiatura, per ottenere un vino bianco dal colore vivace e che potesse durare a lungo; era comunque un vino che non doveva spumeggiare, se ciò fosse accaduto (come spesso succedeva) le botti dove veniva conservato scoppiavano generando una catastrofe.
Nel 1668 Dom Pierre Pérignon ricopre la carica delle finanze del monastero benedettino di Hautvillers vicino a Epernay (Pierre Pérignon nacque nel 1639, lo stesso anno di Luigi XIV, ed entrambi, strana coincidenza, morirono nel 1715). Grazie soprattutto agli efficientissimi uffici stampa degli organismi di tutela dei vini francesi, questo benemerito frate benedettino, passa alla storia quale inventore del vino spumante, ma come tutti sappiamo questa non è che una storiellina nata dalle circostanze: in quel tempo, l’abbazia di Hautvillers possedeva una decina di ettari di vigne e percepiva le decime dai nobili di Ay e d’Avernay in uva. Come amministratore delle finanze – oltre al controllo dei bilanci dell’eremo, sia in moneta che in alimenti – Dom Pérignon aveva semplicemente il compito di vigilare sui beni più preziosi della comunità, vale a dire cantina e vigneto.
Ma se Dom Pérignon non ha inventato né il dégorgement né la liqueur de tirage, né la prise de mousse e ancora meno i tappi di sughero, lasciamo a lui almeno il merito di un’impressionante attitudine nel provare e selezionare le vendemmie, con un’incredibile capacità sensoriale nel provare le uve provenienti dai diversi vigneti: senza sbagliare, riusciva a capire da che zona arrivavano, ed era quindi in grado di assemblare le uve provenienti dai diversi terroir per migliorare la qualità dei vini.
In modo progressivo, egli decide di eliminare le uve bianche provenienti dal Pinot Beurot meglio conosciuto come Fromenteau e quelle dello Chasselas, perché troppo ricche di flavoni (pigmento che dà colore), le quali tingevano rapidamente i vini di giallo se non addirittura d’arancione, conseguenza non apprezzata. In compenso una perfetta limpidezza era ottenuta dalla veloce pressatura del Pinot Nero e l’immediata separazione delle bucce, da uve vendemmiate al mattino presto con uve fredde e umide di rugiada.
Siamo ancora nell’ideale medioevale del «vino limpido come le lacrime».
Dom Pérignon escluse da subito di mischiare le uve bianche con le uve nere che venivano consegnate dagli assoggettati a pagare le decime; le prime venivano subito rivendute. Vegliava poi sulle qualità delle uve vendemmiate: gli acini dovevano essere intatti per meglio preservare i loro aromi (chissà cosa penserebbe oggi il buon frate delle vendemmie meccaniche).
Quindi controllava minuziosamente la separazione del succo che usciva da ogni pressatura, scartando quelli che giudicava troppo ricchi di acidità, e procedeva poi a far assemblare i liquidi estratti dalle singole parcelle.
La fermentazione molto lenta che lasciava un residuo di zucchero veniva fatta nei tonneaux situati nelle cantine scavate nel 1673 nel terreno tipico della Champagne: craie (roccia calcarea contenente una sensibile quantità di argilla) dove viene assicurato l’invecchiamento del vino a temperatura costante; i travasi erano frequenti.
Dopo il 1680, divenne più frequente l’imbottigliamento grazie alle bottiglie di provenienza inglese, che avevano il vetro più spesso e resistente, oltre a una forma a pera. In queste solide bottiglie dal collo chiuso con trucioli ricoperti di cuoio (e più tardi, verso il 1700, con sughero spagnolo legato con una cordicella, e in seguito con un filo di stagno), la potenziale effervescenza di questi vini poteva esprimersi meglio e soprattutto con meno perdite, poiché lo scoppio di una bottiglia causa meno danno che quella di una botte. Dom Pérignon raccomandava d’imbottigliare a marzo, momento più propizio a una leggera rifermentazione degli zuccheri residui.
Dopo tanto lavoro si rese necessario far conoscere ai francesi il gusto di questa nuova tipologia di vino, ma tra il popolo e alla corte di re Sole si preferivano ancora i vini tranquilli, i vini della zona della Champagne venivano chiamati in modo quasi dispregiativo le vin diable o le vin saute-bouchon.
Senza alcuna sorpresa, è a questo punto che tornarono utili gli amanti del vino inglese; già dal 1673 il filosofo francese Saint-Evremond, esiliato da Luigi XIV per aver scritto un poemetto contro Mazzarino, e fra l’altro fondatore a Parigi del bacchico Ordre de Coteaux, diede origine alla moda dello Sparkling Champain, il vino che lancia faville e spumeggia. I mercanti inglesi, visto il buon successo di questi vini bianchi, ne fecero arrivare decine di botti , aggiungendo al momento dell’imbottigliamento della melassa per garantire una ripresa della fermentazione e un’intensa liberazione di gas.
Fu così che in Francia – a eccezione di Luigi XIV al quale i medici avevano prescritto del vino rosso – il popolo cominciò a incuriosirsi a questo tipo di vino. Il cambiamento di gusto francese si avrà sotto la Régence, con la moda dei petits soupers e delle serate galanti.
Secondo il poeta satirico Bernard de La Monnoye «fare esplodere i tappi e innaffiare di schiuma le spalle nude della dame, è quello che vogliamo con priorità», come vien ben mostrato nel famoso quadro di Jean-François de Troy, Le Déjeuner d’huîtres sottotitolato: Le Saute-bouchon.
/ Davide Comoli