Bacco nella storia – La Storia naturale dei vini di Andrea Bacci, composta di sette volumi, è una fonte preziosa per conoscere i vini italiani e stranieri del XVI secolo
Il Cinquecento fu un secolo significativo per il mondo vitivinicolo, infatti, grazie all’invenzione della stampa e a una maggiore conoscenza delle pratiche di viticoltura, i terreni vitati sottratti alle zone boscose si diffusero in maniera sempre più capillare.
Tra la ricchissima letteratura gastronomica ed enologica che dalla metà del 1400 e per tutto il Cinquecento si pubblicò non solo in Italia ma anche in Francia, Germania e Spagna (nella sola Roma vennero edite nella seconda metà del XVI sec. almeno una decina di opere che avevano come argomento il vino, le sue varietà, le sue proprietà e le sue virtù), pensiamo che l’opera di Andrea Bacci si possa collocare ai vertici di questo particolare tipo di letteratura.
Originario delle Marche (S. Elpidio a Mare 1524-Roma 1600), Andrea Bacci dopo studi in medicina, filosofia e lettere, si trasferì a Roma dove, con la protezione del cardinale Ascanio Colonna, divenne arichiatra (medico primario di corte) di Sisto V e professore di botanica alla Sapienza, scrisse molte opere, tra cui il famoso trattato di enologia pubblicato per la prima volta a Roma nel 1596.
Questa Storia naturale dei vini di Bacci è un’opera divisa in sette libri di varia ampiezza, scritti in un latino non certo di stile classico come sono le opere di Cicerone o Plinio, ma per noi rilevante, soprattutto perché ci permette di conoscere i vini italiani e stranieri del XVI secolo (libri V-VI-VII).
Il I libro tratta della storia del vino, dell’uso presso gli antichi e una serie di richiami a quanto sul vino è stato scritto nell’antichità e sui modi di preservarlo dai mali che lo colpiscono.
Nel II libro si tratta ancora in generale delle caratteristiche e proprietà dei vini, a dipendenza se giovani o vecchi, per quanto riguarda i profumi e il gusto, e ancora dell’influenza del terreno sulle caratteristiche che ne deriveranno sia per la vite sia per il vino.
Nel III libro si parla del valore nutritivo per persone sane e malate, e dell’uso del vino come medicina ai sofferenti di varie malattie (febbre, bronchiti, malattie del fegato, ecc.), e infine dell’ubriachezza e dell’effetto del vino sul carattere e sul comportamento.
Il IV libro è suddiviso in cinque parti, nelle quali si tratta la vasta materia inerente i conviti dell’antichità. In particolare per quanto concerne il vino, questo libro tratta dei tanti tipi di contenitori in uso nel tempo, dei modi, della temperatura a cui servirlo e più opportunamente berlo. I tre ultimi libri sono dedicati a un minuzioso esame dei vini di quasi ogni regione d’Italia.
Nel V libro l’esame riguarda i vini delle isole e dell’Italia centrale e meridionale. Sono proprio i vini della Campania i primi a essere nominati, a cominciare dal Falerno seguito dal Cecubo, Caleno, Amicleo, ma la palma di miglior vino campano è assegnata al Greco di Somma (forse l’antico Pompeiano). Ci sembra curioso a questo punto ricordare che papa Paolo III Farnese (1534), che era un gran conoscitore di vini nonché grande bevitore, usasse questo vino invecchiato almeno di sei anni… (così documenta Sante Lancerio, dispensiere e sommelier del Pontefice) «per bagnarsi le parti intime».
L’autore dà molto spazio ai vini del Piceno, la terra natale sulla quale scrive anche qualche pagina di storia.
Nel VI libro l’esame dei vini riparte dal Lazio. Cittadino romano, il Bacci scrive che il paesaggio della Roma del Cinquecento è abbellito da una lussureggiante e ben coltivata cinta di vigneti e aggiunge: «plus vini hodie in urbe Romae potari, quam acquae», citando le vigne del Gianicolo, di Monte Mario, del Colio, del Quirinale e di Porta San Pancrazio, dove le piante di vite avvolgevano le antiche vestigia, lodando infine i celeberrimi vini dei Castelli. Il Bacci risale quindi la penisola attraversando la Toscana sino a raggiungere il settentrione.
Per ragioni di spazio non citeremo la lunga lista dei vini elencati, ma ci soffermiamo su tre capitoli che a noi interessano in modo particolare.
Nel VI libro al capitolo «Vina in Insubribus, ex Mediolano agro» l’autore scrive: «Tra i monti ha cinque grandi, bellissimi laghi oltre alcune zone paludose. Tre di essi si trovano nell’agro di Milano alle falde dei monti della Rezia, il Verbano che chiamano Maggiore e ha per affluente il Ticino, più sotto quello di Lugano e ancora più a sud i laghi di Gavirate e Monate e il deliziosissimo Lario sotto le mura di Como». E continua poi «con un’abbondanza oltre che di frutti anche di deliziosi vigneti, da non aver motivo alcuno per portare invidia alle terre contigue al mare». Segue: «i suoi vini, a dire il vero, non sono generosi ma abbondanti e di medio vigore, ed anche di tipi diversi data l’ampiezza del territorio». Nel capitolo successivo Brigantij vina parlando delle nostre terre (siamo nel 1595) scrive: «Ai piedi dei monti della Brianza, tutt’attorno al lago di Lugano e alle sorgenti del Ticino, dell’Adda e del Lambro vengono prodotti molti vini di valore medio, di qualità diverse e molto acquosi, a seconda dell’umidità delle valli, che per via lago o per la via dei fiumi sono trasportati molti vini generosi di molti tipi nella metropoli della regione, Milano».
Nel libro VII il Bacci chiude la storia dei vini con una compendiosa trattazione dei vini «esterni» (cioè di tutte le regioni europee) e dei «vini fictitia» (artificiali) tra cui la birra. Ma il capitolo che a noi interessa è intitolato: Valesiis inter Alpes Rethias mira fecunditas etiam vinorum. In questo capitolo il Bacci dimostra quanto grande sia la conoscenza del territorio vallesano e scrive: «La propagginazione delle viti, ha inizio nella diocesi di Brig dove, nella zona di maggiore bellezza del Rodano, sgorgano spontanee sorgenti di acque caldissime». E poi prosegue: «Per effetto del calore diffuso, aumenta la produttività dei vigneti, seguendo il corso del fiume. E non si produce un solo tipo di vino; presso Sion e Sierre si fa un vino assai squisito, il rosso è più vigoroso del bianco è così denso che sembra simile all’inchiostro per scrivere». Più avanti l’autore dice: «Nelle vicinanze di Saint-Maurice, l’antico Agaunum, oggi famoso per un noto cenobio (convento di Rueyres? ndr.) e per i suoi vini, dove l’impegno degli abitanti è quello della coltivazione della vite e della produzione di una grande quantità di vini». La sua conoscenza del territorio porta a scrivere: «Vino si produce in abbondanza in prossimità dell’agro Leucense, o di Leuk (Leukerbad) che dicemmo godere del calore delle Terme». La carrellata nel Vallese si conclude con questa affermazione: «Nelle zone di Gundes e di Martinadit (Martigny) che Cesare nei suoi Commentari cita col nome di Octodurus, il vino bianco è superiore per bontà a quello rosso».
/ Davide Comoli