Bacco giramondo – Dal Chasselas, l’alfiere dei vini elvetici al Pinot Nero
Il ricercatore francese Jules Guyot (1807-1872), famoso soprattutto per aver messo a punto il «taglio» universalmente usato in tutto il globo per ottenere uve di qualità, visitando i vigneti affacciati lungo le sponde del Lemano scriveva: «Nulla è messo a dimora meglio di un vigneto svizzero, ben allineato, rizzato, sostenuto, potato e sarchiato, questo ci fa comprendere il perché gli svizzeri non si accontentano di coltivare la vigna… ma ne fanno dei giardini».
In Svizzera amiamo molto il vino e solo il due per cento della produzione viene esportato. Il costo della produzione vinicola, causa la manutenzione delle strutture e le vendemmie fatte a mano per via del territorio, incide inevitabilmente sul prezzo del vino.
L’uva è da secoli presente nel nostro territorio. Negli ultimi decenni abbiamo però puntato a realizzare vini dalla spiccata personalità, oseremmo dire unici, dedicando la massima cura a ogni grappolo, questo grazie al gruppo di enologi che si sono formati nei centri di ricerca di Agroscope e nelle scuole di Changins e Wädenswill.
Centinaia di produttori a tempo pieno e qualche migliaio di wine lovers part-time sono impegnati, malgrado i terreni ostici, a fare in modo che i loro impeccabili e spesso spettacolari vigneti siano curati come giardini, suscitando la sorpresa e l’ammirazione di chi arriva da fuori. D’altronde i vigneti coltivati tra montagne, laghi e fiumi danno un senso di pace e non di rado il viandante si ferma stupito ad ammirare l’opera dell’uomo; molto spesso nei nostri viaggi tra i vigneti della Confederazione ci è capitato di esclamare: «Quanto sei bella, Elvezia!» e riflettere sulla grande fatica spesa per creare questi meravigliosi «giardini» sospesi tra terra e cielo.
Eppure, con fatica, i vigneti sono spesso coltivati su rilievi di non facile accessibilità, su suoli talvolta sconvolti e spianati dal ritiro dei ghiacciai, a volte ricoperti da depositi alluvionali o sagomati dal vento. Inoltre le modeste superfici e il frazionamento della più parte delle proprietà coltivate fanno sì che, il più delle volte, la vigna sia coltivata su dei terrazzamenti, e questo spiega il perché i «vignerons» svizzeri misurino i loro vigneti in metri quadrati e non in ettari come normalmente viene fatto nel resto del mondo. Non si può nemmeno comparare il rendimento elvetico con la maggior parte dei vigneti europei, dato che molto spesso in certe zone terrazzate, la superficie dei muri di sostegno è maggiore di quella delle vigne, e questo costringe spesso i «vignerons» a intensificare di molto l’impianto, addirittura 15/20mila piedi per ettaro contro i 3/9mila degli altri paesi.
Ci sembra quindi doveroso plaudire i viticoltori per la tenacia e l’ingegnosità, per il loro amore per la terra, per risolvere i problemi che costantemente si presentano dai primi giorni della potatura sino all’autunno, per la lotta che ingaggiano con madre matura per ottenere un raccolto generoso, nonostante la variabilità dei climi e un’abbondante fauna spesso arrecante parecchi danni alla viticoltura.
Un grande lavoro affinato anche dall’intervento degli enologi – che a volte sono gli stessi viticoltori – i quali negli ultimi decenni hanno portato la qualità dei vini svizzeri a livelli d’eccellenza mondiale, e le molte medaglie vinte ne sono una conferma.
Molteplicità sembra essere il «motto» elvetico che, con sei regioni produttrici di vino e 25 differenti legislazioni viticole, fa da culla a ben 252 vitigni (recensiti da una statistica ufficiale), allevati su una superficie di circa 15mila ettari, da uomini e donne con culture molto diverse.
Non c’è cantone in cui non si coltivi uva da vino su terreni molto diversi; a tal proposito, la Svizzera ostenta con orgoglio i suoi vigneti coltivati alle quote più alte d’Europa. Parliamo di quelle vigne che per prime s’affacciano sui due fiumi definiti da tutto il mondo le più antiche vie vinicole del Vecchio Continente, ovvero sul Rodano e sul Reno, che a breve distanza sgorgano dal massiccio del San Gottardo. Flussi d’acqua usati da secoli…
Pollini e foglie ritrovati in alcuni villaggi del Vallese, infatti, attestano la presenza della vite almeno 200 anni a.C., ma è a La Têne (villaggio sul lago di Neuchâtel) che abbiamo conferma dell’uso della vite per produrre una bevanda nel 450 a.C. Di certo sappiamo che da Marsiglia (Massalia) la vite risalendo il Rodano è arrivata sul lago Lemano per poi proseguire verso nord. Nel 58 a.C. le legioni romane sconfissero gli Elvezi condotti da Divico e portarono innovazioni nella coltivazione della vite, entrando da quello che oggi è il Ticino, passando il Lucomagno e arrivando infine nella valle del Reno, nei Grigioni e via Gran San Bernardo nel Vallese.
Proprio nei Grigioni troviamo il più antico documento sulla vite in Svizzera, è una donazione del vescovo Tello di Coira al convento di Disentis (765 d.C.), sebbene nei Commentarii di Giulio Cesare, si parli di un «vinum album» con cui si rifornivano le legioni che transitavano da «Curia Raetorum» (Coira).
Un’altra data importante è il 1141, quando dei monaci cistercensi, su invito del vescovo di Losanna, accompagnati da monache di clausura osservanti le regole di Sant’Agostino, fondarono un convento a Rueyres, parrocchia di Saint-Saphorin e insieme impiantarono le prime viti, sembra di Chasselas, considerato l’alfiere dei vini svizzeri. Questo vitigno, che è stato per anni il più coltivato in Svizzera, ha visto nel tempo il suo posto preso dal Pinot Nero, tant’è vero che in un paio di decenni la superficie coltivata a esso destinata è diminuita del 40 per cento.
Oltre ai due vitigni sopracitati, quasi i tre quarti della produzione viticola comprendono il Gamay e il Merlot, ma non fatevi trarre in inganno, viaggiando attraverso i vari cantoni della Confederazione, potrete scoprire (e li conosceremo nei prossimi articoli) che quasi ogni viticoltore coltiva e vinifica vitigni che vengono chiamati indigeni (autoctoni), la cui origine si perde nel tempo; chicche vinificate che saranno lieti di farvi degustare, magari in mezzo all’incanto del loro vigneto: sappiate che il territorio elvetico a livello enologico è un «caveau» colmo di bottiglie contenenti vini unici e incredibili.
Unici come quei vitigni creati a partire dagli anni Venti nelle scuole elvetiche di ricerca scientifica di viticoltura chiamati «miglioratori», e che soli o in uvaggio con altri donano vini «esclusivi».
/ Davide Comoli