Il vino nella storia – Dopo la perdita della Guascogna nella Guerra dei 100 anni, gli inglesi andarono a rifornirsi in Spagna e Portogallo
Durante il regno di Elisabetta I (1558-1603), regina lungimirante che aveva tra l’altro promulgato lo Statuto degli Artigiani, primo contratto nominativo e salariale dei lavoratori, il vino nell’Inghilterra di quel tempo era un bene accessibile a tutti e lo si poteva trovare in grande quantità.
Ma quali erano i vini prediletti dagli Inglesi? La perdita della Guascogna passata alla Francia al termine della lunga guerra dei Cent’anni nel 1453, (agli Inglesi rimane solo Calais) e la crescente predilezione dei figli d’Albione per i vini dolci, portò tra il XV e il XVI secolo un notevole squilibrio delle importazioni a favore dei vini provenienti dalla Spagna e dal Portogallo. Si dice che nel lontano inverno del 1587 non ci fosse taverna inglese dove non si vendesse vino proveniente da Cadice. Quell’anno, con un fulmineo attacco, Francis Drake (1542-1596) era piombato come un falco nel porto andaluso di Cadice, cogliendo di sorpresa gli esterrefatti spagnoli; aveva messo a ferro e fuoco la città prima di fuggire con più di 2900 botti di Sack (antenato del moderno Sherry), trovate sulla banchina, pronte per essere stivate sulle navi dell’Invincibile Armada, infatti così era chiamata la flotta spagnola che s’apprestava, in quel periodo di conflitto tra Elisabetta I e Filippo II re di Spagna, ad invadere l’Inghilterra.
Ma quell’invasione non avvenne mai, infatti culminò in un grosso disastro causato da una forte tempesta scatenatasi di fronte le coste normanne; fu un vero disastro, delle 420 navi spagnole solo 76 fecero ritorno in patria, correva l’anno 1588. Questo naturalmente portò una recessione del commercio fra i due paesi, ma senza alcun dubbio i secoli XVI e XVII portarono un grande incremento delle esportazioni di vino tra Spagna e Inghilterra.
Un grande contributo alla conoscenza dei nomi dei vini che venivano allora bevuti nelle taverne londinesi emerge chiaramente dalla letteratura inglese di quel periodo e in particolare dalle opere teatrali del drammaturgo e poeta William Shakespeare (1564-1616).
Nelle sue «sicure» 37 opere, il vino sorregge l’intelligenza e il coraggio, è considerato sorgente di conoscenza e sapere, è spesso associato al sangue e al fuoco ed il suo potere è rapido, è inoltre fonte di loquacità e suscita allegria. Alle volte il vino è usato male da personaggi non molto positivi come Lady Macbeth o Iago nell’Otello, oppure Claudio nell’Amleto, ma non è il vino che possiede caratteristiche infauste.
Al posto d’onore tra i vini importati dalla Spagna, c’era appunto il Sack proveniente da Sanlúcar alla foce del Guadalquivir, dove gli inglesi avevano creato una piccola base commerciale, era da lì che il Sack prodotto nella vicina Jerez de la Frontera veniva imbarcato per l’Inghilterra. Oltre a questo vino secco, ambrato e alle volte addolcito con il miele, venivano importati il Charneco proveniente da Colares in Portogallo nonché il Bastardo sempre portoghese e il Malmsey (Malvasia) proveniente dalle Canarie, descritto da Mistress Quickly in Le allegre comari di Windsor come «un vino meravigliosamente penetrante che profuma il sangue in un baleno».
Nelle opere del grande drammaturgo, il bevitore per eccellenza è Sir John Falstaff, per questo personaggio il vino è ciò che rende il cervello tempestivo in ogni situazione, riempie il cuore di coraggio e dà un senso alla conoscenza delle cose e nell’Enrico IV dice: «Il sapere non è che un semplice mucchio d’oro tenuto da un diavolo finché una coppa di Sack non lo inaugura e gli dà vita e impiego».
Ma a parer nostro la miglior definizione di questo vino la dà alla Garter Inn (locanda della Giarettiera) intorno alla quale ruota la commedia Le allegre comari di Windsor, ecco ciò che dice Falstaff: «Un buon bicchiere di vin di Spagna è sempre a doppio effetto: primo che mi sale al cervello, e lì prosciuga tutti i vapori, acri e grevi, della scemenza, e me lo rende appercettivo, pronto, sagace, vivo, forgiativo, pieno d’aereo fuoco e di estri dilettevoli: i quali, consegnati alla voce della lingua che gli dà l’aíre, diventano battute di spirito eccellenti. L’altro effetto del nostro prodigioso vin di Spagna è di scaldare il sangue: il quale prima infreddolito e stagno, lasciava pallidissimo il fegato: segno questo di meschinità e vigliaccheria. Riscaldato dal vino invece, il sangue prende la foga dall’interno alla periferia; illumina la faccia che come un fanale di segnalazione trasmette a tutto il resto del piccolo reame – l’uomo – l’ordine di armarsi; e allora la balda borghesia degli spiritelli interiori mi si schierano intorno al loro bravo capitano – il cuore –; il quale, gonfiato e lievitato da questo gran codazzo compie prodigi di prodezza; e tutto a gloria di quel vin di Spagna».
E dopo aver citato le gagliarde bevute di intere cantine di Sack, che hanno fatto del Principe Righetto un uomo valoroso, Falstaff conclude dicendo: «Se avessi un migliaio di figli il primo principio di buona umanità che, a uno a uno, vorrei ficcare a loro in testa, sarebbe quello di rifiutare le pozioni insulse per attaccarsi forte al vin di Spagna». L’immagine positiva di cui godeva il vino nelle opere di Shakespeare sotto il regno di Elisabetta I, assunse tinte fosche alla sua morte. Gli avvenimenti storici che sconvolsero il regno con il suo successore Giacomo I (figlio di M. Stuarda), portarono a drastici provvedimenti, aumentando tra l’altro il prezzo d’importazione del vino con la conseguente diminuzione del consumo.
/ Davide Comoli