Vino nella storia – Il nettare di Bacco secondo Bartolomeo Sacchi
Il rinnovato interesse che caratterizzò la cultura umanistica in tutte le sue espressioni, in Italia e più in generale in Europa, favorì un grosso fermento in tutti i campi portando «l’uomo» a riacquistare la consapevolezza delle proprie potenzialità. Dopo i secoli ritenuti bui del Medioevo, grazie a questa poderosa spinta nasce «l’uomo nuovo». Il rinnovato interesse per l’uomo favorì tra l’altro il moltiplicarsi dei trattati di gastronomia, questo anche grazie alle condizioni economico-sociali molto migliorate rispetto al passato.
Il merito della diffusione dei testi, senza nulla togliere alla bravura degli autori, va indubbiamente alla competenza e al successivo evolversi dell’invenzione della stampa. La vigorosa spinta intellettuale prodotta da questa corrente portò soprattutto le varie nobili corti della penisola a reagire alla lunga astinenza medievale, indulgendo nel lusso e nel fasto che non riguardava solamente le classi più elevate con i rispettivi personaggi, ma anche il popolo. In questa gara nell’esibizione di opulenza e vari privilegi, possiamo senza dubbio alcuno porre al vertice la Corte Pontificia, con i Papi e i suoi alti prelati, spesso più uomini di mondo che ministri di Dio.
Ed è proprio qui, in questa sede, dove intrighi, nepotismi, voltafaccia repentini e favori alle grandi famiglie romane (Orsini, Colonna, Caetani, Altieri, Borgia, eccetera), nasceva una delle maggiori opere della letteratura gastronomica italiana la: De honesta voluptate et valetudine (L’onesto piacere della mensa e la salute), scritta in latino (lingua degli umanisti) nel 1475 dall’insigne Bartolomeo Sacchi detto il «Platina»; nato nel 1421 a Piadena (in latino Platina) nel cremonese, morì di peste («pestilentia extintus est») il 21 settembre 1481 a Roma.
Egli dapprima seguì la carriera delle armi e solo più tardi si volse alla lettere, già in età matura. Nel 1457 lo troviamo a Firenze, dove ha cordiale dimestichezza con Cosimo e Pietro de Medici, e nel 1461 Francesco Gonzaga, secondogenito del marchese Lodovico, viene eletto Cardinale e sceglie il Platina come segretario; gli sarà sempre prodigo di affettuosa e benevola protezione, salvandolo due volte dalla prigione dove era stato relegato dal Pontefice Paolo II.
Grazie a una cultura umanistica che comportava una certa deontologia morale, il mal costume dell’epoca gli procurò non pochi dispiaceri, soprattutto da parte di Paolo II, del quale con tutto il rancore che aveva dentro nel suo Liber de vita Christi ac omnium pontificum (Un libro sulla vita di Cristo e di tutti i Pontefici, opera dedicata al successore di Paolo II), Sisto IV del Rovere 1473, scrisse: «Hebbe così in odio gli studii della humanità et così li dispreggiava e vilipendeva, che tutti quelli che vi davano opera soleva egli chiamare heretici».
Ma non divaghiamo, il De honesta voluptate et valetudine è suddiviso in dieci libri per un totale di 423 capitoletti.
Nel libro I ci sono chiari riferimenti a precetti igienici dell’abitazione, sonno, amplesso, esercizi fisici, parla del cuoco e di alcuni frutti. Nel II ancora frutti, latte e formaggi; nel III frutta secca, droghe, erbe profumate; nel IV preparazione delle verdure, animali domestici e selvatici da pelo; nel V animali domestici e selvatici da piuma. Nel libro VI inizia poi il ricettario vero e proprio e si rifà al Libro de Arte coquinaria (Libro di arte culinaria, vanto della nostra Val di Blenio, circa 1450) di Maestro Martino. A capo 121 (Cibaria Alba) il Platina scrive: «Il mio amico Martino di Como dal quale son tratte in gran parte delle cose che scrivo» e vivacizza le ricette con fatterelli, notizie e personaggi.
Nei libri che seguono tratta del modo di cucinare le vivande ed elenca le varie salse. È nel libro X che alla fine tratta del vino e degli accorgimenti per placare le emozioni. Di seguito trascriviamo dunque alcuni passaggi del suo De vino, pur non condividendone totalmente le dichiarazioni: «La cena e il pranzo senza bevande, non solo sono ritenuti poco gradevoli, ma anche poco salutari, poiché il bere, per chi ha sete è più dolce e gradito di qualsiasi cibo per chi abbia fame. Conviene innaffiare il cibo, sia per rinfrescare i polmoni sia per meglio stemperare e digerire quello che abbiamo mangiato. Il vino che Androchide, scrivendo ad Alessandro col proposito di frenare la sua intemperanza, chiamò sangue della terra, ha il potere di riscaldare e di rinfrescare… Ne viene che niente è più pronto del vino nel soccorrere i corpi affaticati, purché sia preso con moderazione. Niente invece è più dannoso se venisse a mancare il senso della misura. A causa dell’ubriachezza gli uomini diventano infatti tremebondi, grevi, pallidi e maleodoranti, smemorati, cisposi, sterili e tardi a procreare, canuti e calvi e vecchi anzitempo».
Il Nostro parla poi di quando e che tipo di vino usare a seconda della stagione, dell’età, delle proprietà dei vari tipi di vino e il modo di vinificare, concludendo così: «Quanto a noi è sufficiente che passiamo in rassegna i vini maggiormente pregiati (15-20). Ma prima desidero esortare i lettori a non credermi per questo un beone; poiché non c’è nessuno più di me per principio e per natura, faccia uso di vino allungato».
/ Davide Comoli