Vino nella storia – Nel suo Simposio molti i riferimenti alla bevanda cara a Bacco
Il 1400 è per Firenze un’epoca di straordinario splendore culturale e artistico. È la Firenze che – nell’arco di sessant’anni, tra l’insediamento alla Signoria della città di Cosimo de’ Medici (1389-1464) e la morte di suo nipote Lorenzo il Magnifico (1449-1492) – vede costituirsi in città la più alta concentrazione di «geni» che mai si è vista nella storia della civiltà occidentale. Tra le sue vie impreziosite dalla più elegante architettura che abbia mai onorato una città, non sarebbe stato infrequente incontrare Donatello, il giovane Michelangelo, Leonardo da Vinci, l’enciclopedico Pico della Mirandola, Sandro Botticelli o magari, tenendosi alla larga, il cupo fra’ Girolamo Savonarola.
Tra costoro, l’artista che è sempre al fianco di Lorenzo de’ Medici e in larga misura lo influenza è senza dubbio alcuno Angelo Ambrogini, detto il Poliziano (Montepulciano 1454-Firenze 1494). Nulla ci è pervenuto che ci faccia avere idea se il Poliziano sia stato un’amante della bevanda sacra a Bacco, ma il vino compare con una certa frequenza nella sua poesia.
Gli studi biografici sulla vita di Lorenzo de’ Medici, ascrivono la stesura del Simposio (componimento gradevole e poco conosciuto, dove il vino è cantato in parodia) tra gli anni 1466-1467.
Il vino è il filo conduttore di tutto il poemetto ed è la materia prima che serve per canzonare e rivelare gli aspetti meno ufficiali della vita dei fiorentini dell’epoca. I primi biografi di Lorenzo parlano di una stesura a getto quando aveva 18 anni, il che dimostra la sua precoce vena letteraria. Attraverso questo poemetto a tema enoico, affiorano così molti aspetti dell’immagine del vino nella Firenze del 1400. In quest’opera molti sono i versi che richiamano le espressioni usate da Dante e Petrarca. Il collegamento con Dante è evidente fin dall’esordio della parodia enologica del Magnifico, dato il celebre inizio della Divina Commedia: «Nel mezzo di cammin di nostra vita», infatti, il Simposio si apre con «Nel tempo ch’ogni fronda lascia il verde, Bacco per le ville e in ogni via si vede a torno andar».
Così come Dante trova guide che lo accompagnano nel suo viaggio (Virgilio e Beatrice), anche Lorenzo si avvale dei suoi due mentori: Bartolo Tebaldi e Nastagio Vespucci, sommi… mangiatori e bevitori.
Lorenzo, nel poema, si trova in una fitta calca di persone. Tutti procedono nella stesse direzione e di gran fretta. Ma dove vanno? Questa è la domanda rivolta a Bartolino (Bartolo), la risposta è semplice, si recano di fretta a ponte Rifredi a bere vino appena spillato dalla botte dell’oste Giarnesse. In questa lesta corsa davanti a Lorenzo sfilano tutti i beoni fiorentini attratti dall’irresistibile profumo di vino.
Da questo originale catalogo di ubriaconi fiorentini del XV sec., abbiamo scelto di riproporre alcuni caratteristici personaggi che compongono l’originale processione.
Il primo ama talmente il vino da essere conosciuto con il nome «Acinuzzo». Il secondo ubriacone che estrapoliamo dalla processione (cap. VIII) è anche a suo modo un personaggio storico, si tratta del grasso piovano Arlotto, prete della campagna mugellana, le cui burle proverbiali ci sono state tramandate da un anonimo contemporaneo di Lorenzo nei Motti e facezie del piovano Arlotto. (Arlotto significa ingordo).
L’Arlotto ha sempre con sé la fiasca per il vino e nel Simposio così viene descritto «Quest’è il piovan Arlotto e non gli tocca il nom indarno né fu posto a vento (a caso) sì come secchia è molle (bagnato di vino). Costui non s’inginocchia al Sacramento (all’Eucarestia) quando si leva, se non v’è buon vino, perché non crede che Dio venga dentro». È quantomeno intrigante l’immagine di Dio data qui, il quale potrebbe rifiutare sdegnato il sangue di Cristo se questo implica un vino dalle caratteristiche scadenti.
Tra i tanti, la Malvasia è un vino che piace molto a un altro personaggio, Antonio del Vantaggio, un oste che beve più vino di quanto ne vende. Sperpera denaro in ogni taverna di Firenze e, dato che nella sua bottega non riesce a tenere la preziosa Malvasia, va a berla dal collega Candiotto, un taverniere che prende il nome da Candia, rinomata per le sue Malvasie. E Lorenzo così lo descrisse «Costui taverna fa, ma ne fa male ch’egli ha bevuto tanto in capo all’anno, che non gli resta mai in capitale. El Fico el Buco e le Bertucce el sauro e perché Malvagia non ha n bottega al Candiotto ancora fa spesso danno».
Nel Simposio si trovano altri divertenti modi di dire «El vin gli fa puzzo» (il vino gli fa schifo), «Per sé e un compagno uccide» (tracanna per due), «Beve sol col naso una vendemmia» e chi «Al tornar un baril frode» (perché prima di rientrare tra le mura della città ha ingerito tanto vino da far passare di frode l’equivalente di un barile), «Come el cammel ha soma egli» (tanto pieno di vino).
L’arguto piovano Arlotto e Lorenzo il Magnifico condividono una speciale considerazione per l’acino d’uva e il primo si meraviglia che il buon Dio non abbia fornito maggior protezione «Per quale ragione al chicco d’uva è data tanta poca difesa, che ogni piccola goccia lo offende, e lo sciupa, è un frutto così prezioso che puoi vedere il liquore nobile che produce e quale nutrimento da».
Forse non tutti conoscono il Simposio del Magnifico, ma di certo tutti conoscono la Canzona di Bacco che esalta la giovinezza, l’amore e il vino, così all’improvviso anche a noi capita di canticchiare quasi come un’invocazione «Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia! Chi vuole esser lieto, sia: di doman non c’è certezza».
/ Davide Comoli