Bacco giramondo – Dalla Strada del Sangiovese ai balconi vitati di Rimini – 2a parte
Le differenze viticole più significative che si possono rilevare tra l’Emilia e la Romagna sono date da una diversa base ampelografica e dal fatto che nella prima prevalgono vini vivaci e frizzanti, mentre nella seconda, vini fermi.
La Romagna è il regno del Sangiovese, ed è proprio a questo vitigno – di cui è composta la maggior parte del vigneto romagnolo – che la regione deve le sue maggiori glorie, anche se l’unica DOCG è quella dell’Albana di Romagna ricevuta nel lontano 1987. L’indiscusso portabandiera di questa regione, e anche il più conosciuto, è soprattutto il suo «passito».
Anche in questa zona l’influsso etrusco fu determinante per l’evoluzione della vitivinicoltura, ma pure i Greci ebbero una parte importante nell’impianto del vigneto romagnolo. Più precisamente gli Etruschi, stando a quanto asserisce lo scrittore latino Varrone (116 a.C.-27 a.C.), bonificarono i vastissimi acquitrini di Adria e di Spina, dove sorsero Argenta e Ferrara, ed edificarono i luoghi dove sorsero Faenza, Imola e Forlì (la Forum Livii romana). Ribattezzati in seguito dai romani per indicare il loro radicato dominio sul territorio con il nome che ancora oggi conserva.
Lo storico Strabone (63 a.C.-20 d.C.), già si sorprendeva nel trovare in una terra così paludosa «una singolarità meravigliosa» (forse come vedremo il vino prodotto dall’Albana) e il poeta Marziale (40-104 d.C.) si stupiva che da quelle parti gli venisse servito vino puro. Nel 402 d.C. – con il trasferimento della capitale dell’Impero Romano d’Occidente a Ravenna – iniziò in quella zona un’eccezionale fioritura artistica che, oltre ai marmi pregiati, portò il vitigno Refosco Terrano, conosciuto in Romagna come Cagnina. Anche Dante Alighieri, in un passo del Purgatorio, fa riferimento al buon vino di Forlì, e nei secoli che seguirono la viticoltura continuò a prosperare, tanto che, nella sua opera De Naturali Vinorum Historia, Andrea Bacci nel 1596 descrisse i vini Sangiovese e Albana. Nel 1906, vicino a Cesena la fillossera distrusse il 90% degli impianti vinicoli, che si ripresero con grande fatica.
Suddivisa in parti eguali tra pianura e collina, la Romagna presenta un territorio differenziato. Nella zona di pianura a prevalere sono i terreni alluvionali, formati dal fiume Po e dai suoi innumerevoli affluenti; sono ricchi di limo e argilla, e sono abbastanza fertili. In collina troviamo invece terreni ricchi di argilla e calcare che permettono soprattutto al Sangiovese di esprimersi al meglio, dando origine a vini profumati e ricchi di struttura, in grado di invecchiare a lungo. Con i suoi 2400 ettari vitati, la viticoltura ha un’importante valenza economica sulla regione.
Iniziamo il nostro viaggio laddove l’Appenino comincia a farsi selvaggio, percorrendo la cosiddetta «Strada del Sangiovese», di certo uno dei luoghi più amati dagli appassionati del buon vino, visto che da questo vitigno si ottengono grandi prodotti dell’enologia riconosciuti a livello mondiale. Il nostro percorso si snoderà tra enologia, gastronomia, ma anche arte, storia e cultura, partendo dalla collina faentina e percorrendo la pianura sino al mare.
Da Imola risaliamo le colline: oltre che al Sangiovese, vengono allevate viti di Ciliegiolo, Ancellotta, Merlot, tra i vitigni a bacca rossa, da dove si ottengono vini dagli intensi profumi di viole e frutti rossi, dai tannini eleganti, da bere dopo una breve evoluzione e da gustare con «l’anatra alla romagnola», cucinata con pancetta, aromi e vino. Inoltre, le argille rosse ricche di calcare consentono di ottenere vini molto profumati: da provare un bianco di Pignoletto frizzante, ottimo per una sosta golosa in un caldo pomeriggio con «salumeria» locale non troppo piccante.
Toccando il suggestivo borgo Medievale di Brisighella, abbiamo gustato, su crostoni di pane casereccio, l’aromatico e insuperabile olio di oliva extra vergine, prodotto in loco. Non troppo distante qualcuno ci ha indicato il villaggio Riolo Terme, stretto attorno a un’antica rocca, dove a cena ci vengono servite «pernici saltate con tartufo nero e scalogno» (Riolo è la patria di questa pianta erbacea); il matrimonio di questa portata con un rosso Riserva di Sangiovese/Merlot, è rimasto indelebile nella nostra mente.
La vera regina di questa terra è Faenza, centro rinascimentale e celebre nel mondo per le sue ceramiche. Qui abbiamo scoperto l’antica relazione tra ceramica e vino, sì, perché secondo la mitologia greca, l’Arte della ceramica fu inventata da Keramos, figlio pensate un po’ di Dioniso e Arianna. Raggiunto il piano s’incontrano luoghi dove un’agricoltura fiorente convive in modo armonico con le tradizioni rurali, e attraversiamo dunque Lugo e Bagnacavallo prima di raggiungere la splendida Ravenna. Tra colline tondeggianti ammantate di viti, c’immergiamo nella Romagna più autentica, terra sanguigna e appassionata, e qui – scusateci – tornano alla mente i versi appresi studiando le poesie di Giovanni Pascoli che parlano di un brigante romantico «Passator cortese, re delle strade, re delle foreste». Attraversiamo Forlì e saliamo verso Predappio, passando prima da Forlimpopoli a visitare il Museo dedicato a Pellegrino Artusi, dove con un piatto di «passatelli fatti con parmigiano reggiano, pane grattugiato e uova» cotti in brodo di carne, gustiamo un gradevole Pagadebit, qui chiamato Mostosa, vitigno bianco diffuso in collina, con delicate note erbacee. È un vitigno che consente di fare vino anche in annate difficili ed è particolarmente resistente alle varie malattie della vite. Da ciò il suo nome, che sta a significare come i contadini riuscissero in parte a «pagare i debiti» ai proprietari dei terreni con quel vino, che permetteva loro di tirare a campare anche in caso di vendemmia cattiva o scarsa.
Qui siamo nella patria della «Piadina». È una campagna ricca quella dell’entroterra della provincia di Forlì e Cesena, ed è appunto prima di arrivare a Cesena (antico feudo dei Malatesta), che ci concediamo una pausa in quella che è considerata una delle capitali dell’ospitalità, stiamo parlando di Bertinoro. La bontà del vino Albana, uno degli emblemi della collina romagnola, è legata a una leggenda. Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio (400 d.C. ca.), in queste zone ricevette una generosa ospitalità e le fu offerto vino servito in una coppa di terracotta, un nettare che trovò tanto soave da esclamare (sembra): «Non servito così umilmente ti si dovrebbe bere, bensì berti in oro!». Fu così che alla corte di Ravenna si cominciò a bere l’Albana.
L’Albana dà vini molto profumati, di miele, albicocche, note speziate e intense; e può dare vini dolci o secchi, ma è soprattutto il famoso Albana Passito che esprime al massimo le sue potenzialità. Lo abbiamo provato con il saporitissimo «formaggio di fossa» della non troppo distante Sogliano al Rubicone e, credeteci, è una vera delizia.
Il nostro viaggio giunge a termine nei pressi di Rimini, tra i vigneti che sembrano balconi sul mare: qui abbiamo concluso la serata con un vino bianco di uve Pignoletto.
Leonardo da Vinci, che per conto di Cesare Borgia visitò le rocche romagnole, lasciò scritto: «Et però credo che molta felicità sia agli homini che nascono dove si trovano i vini buoni». Come dargli torto?
Scelto per voi
Pigato – Terre di Luna
Estesa lungo tutta la Riviera di Ponente, la coltivazione del Pigato ha in Liguria il suo centro più importante nella zona compresa sulle colline dell’immediato entroterra della provincia di Savona, nella piana di Albenga e nella valle dell’Arroscia.
Il Terre di Luna che oggi vi consigliamo è vinificato dalla Cantina Bosoni, in acciaio: le uve maturano a un’altezza di circa 300 metri slm con esposizione a sud, una prerogativa necessaria per mantenere un giusto rapporto di zuccheri; questa esposizione permette alla vite di essere in continuazione baciata dal sole.
Il Pigato si apre con toni balsamici e il suo colore è giallo paglierino con leggeri riflessi dorati, l’intenso profumo è legato alla frutta matura e alle erbe aromatiche tipiche della Liguria, la struttura gustativa si basa su note fresche e sapide, supportate da una buona morbidezza e media struttura. La buona persistenza aromatica è lunga e lascia piacevoli note ammandorlate.
Vino da servire tra i 10°/12° C e da abbinare alle classiche torte di verdure, agli spiedini di cappesante e calamaretti o gamberoni, ma noi lo preferiamo con le classiche Trofie al pesto o ai quasi introvabili Pansôti con una salsa di noci.
/ Davide Comoli