Bacco giramondo – Dalla provincia di Teramo alle nuove denominazioni comunali come Ortona, Villamagna e Tullum
L’Abruzzo, definita «Regione verde d’Europa» per la presenza di numerose riserve naturali e Parchi Nazionali, è altamente vocato alla viticoltura grazie alle sue condizioni climatiche. Dal punto di vista territoriale (l’Abruzzo consta di 10’795 km2) è occupato dal 65 per cento di montagne, mentre il restante 35 è composto da colline, quindi non ha una vera pianura. I massicci della Maiella e del Gran Sasso salgono sino a sfiorare 3000 metri slm e, per la loro collocazione poco distante dal mare, influiscono in maniera determinante sulla situazione meteorologica, determinando un clima ventilato con forti sbalzi termici tra giorno e notte, tra estate e inverno.
In una situazione ambientale di questo genere, è comprensibile che la viticoltura sia divenuta, con l’andar del tempo, l’attività principale della popolazione agricola, che attraverso la coltura vinicola ha potuto tramandare e consolidare le proprie tradizioni. Che il binomio Abruzzo/vino sia consolidato da tempo, ci viene confermato dalla storia, e infatti recenti studi fanno risalire all’età del ferro le prime colture viticole e la produzione del vino in questa regione.
Successivamente gli Etruschi introdussero la coltivazione nazionale della vite tra il VII-VI sec. a.C., insegnando ai locali il sistema di maritare agli alberi la vite.
Narra la storia che Annibale, prima della tremenda battaglia di Canne (216 a.C.) riuscì a far guarire i cavalli del suo esercito malati di scabbia lavandoli con il vino prodotto dai Marsi e dai Sanniti; rimessa in sesto la sua cavalleria, riuscì a imporsi in quella che per Roma fu una delle più cocenti sconfitte.
In epoca augustea, l’abruzzese poeta Ovidio, nel suo capolavoro Le Metamorfosi, descrive i vigneti della Valle Peligna, esaltandone la bellezza, rievocando il vincolo che lega l’olmo alla vite per descrivere le sue pene amorose, e definendo questa sua terra «ricca del dono di Cerere e ancor più feconda di uve».
Il vino «Preturia», considerato dai Romani come un «grand cru», viene più volte citato da Plinio il Vecchio. Da Marziale invece abbiamo conferma che i vini abruzzesi venivano serviti sulle mense di Roma, mentre dal medico Dioscoride sappiamo che di questi vini si faceva largo commercio lungo le coste Adriatiche.
Dopo un periodo buio, con il sorgere e diffondersi del monachesimo, la vite ritornò a fiorire, ma poco e nulla sappiamo di quello che accadde sino al Rinascimento: saranno il domenicano Serafino Razzi e l’autorevole Andrea Bacci che tracceranno un quadro della vitivinicoltura del tempo (XVI sec.). Sappiamo che alla fine del XIX sec. il patrimonio ampelografico era considerevole, ma all’inizio del Novecento arriva il flagello della filossera.
Oggi l’Abruzzo conta circa 32mila ettari vitati, la maggior parte d’allevamento è quello della pergola abruzzese.
Indiscusso protagonista del panorama ampelografico della regione è il Montepulciano (da non confondere con il toscano Vino Nobile), vitigno molto versatile che dà un vino dal colore rosso granato che può essere bevuto giovane o dopo lungo affinamento; può essere usato per produrre anche spumanti, ma vi consigliamo di provare il profumatissimo Cerasuolo rosato, prodotto dal Montepulciano d’Abruzzo.
Il Trebbiano Toscano e il Trebbiano Abruzzese sono i due vitigni che per anni hanno rappresentato la base per la produzione di tutti i vini bianchi della Regione. Dalla fine degli anni Ottanta però c’è stata una riscoperta che ha riportato in auge i vitigni autoctoni bianchi di cui si era quasi persa la memoria: il Pecorino, la Passerina, la Cocciola e il Montonico, vinificati in purezza; seppure ricoprono solo il 5% della produzione, hanno conquistato (anche per il prezzo) una bella fetta del mercato non solo nazionale.
Provenendo dalle Marche, incontriamo la provincia di Teramo, con le sue dolci colline attraversate dai fiumi Salinello, Tordino e Vomano; qui il Montepulciano d’Abruzzo esprime al meglio le sue peculiarità, ottenendo l’unica D.O.C.G. della regione Colline Teramane. Vino ricco di sfumature ottenute dopo lunghi periodi passati nel legno, il Montepulciano d’Abruzzo D.O.C.G. è l’ottimo compagno per un piatto tipico come il Gnemeridde, frattaglie d’agnello e capretto ridotte a strisce e rinserrate in gomitoletti, donde il nome, infilzate nello spiedo o soffocate in padella con olio, cipolla, pomodoro e formaggio pecorino.
In provincia di Teramo anche la Passerina e il Pecorino danno vini freschi e fruttati, di buona struttura e alcolicità, ottimi con i piatti di pesce del prospiciente Adriatico. In alcuni comuni della zona trovano spazio anche taluni vitigni internazionali che si esprimono in vini monovarietali con denominazione controversa.
Scendendo verso sud, troviamo la provincia di Pescara, suddivisa in due zone vinicole, Terre dei Vestini e Terre di Casauria. Questi terreni vocati alla viticoltura, esposti a forti escursioni termiche dati dalle brezze marine, permettono al Trebbiano d’Abruzzo di produrre vini bianchi strutturati; da provare se passate da Castiglione di Casauria, e se siete fortunati, il particolare Moscato Passito da bersi intingendo i tipici taralli.
Nell’interno, i vigneti hanno una produzione piuttosto limitata. La Valle Peligna, in provincia dell’Aquila, si trova ai piedi della Maiella e del Sirente-Velino, in una conca denominata Terre dei Peligni. Qui si produce un elegante Montepulciano, come nella zona dell’Alto Tirino, dalle esposizioni più soleggiate, dove con lo stesso vitigno si producono ottimi rosati dai deliziosi profumi di frutti di bosco: non esitate quindi a provare il Cerasuolo con il famoso brodetto abruzzese di pesce.
La provincia di Chieti (confinante con il Molise), è considerata il gigante dell’enologia abruzzese, legata soprattutto alle grandi cooperative che per anni hanno fornito Montepulciano e Trebbiano al mercato globale, sfuso o in bottiglie di grossa capienza.
Ai giorni nostri pur concentrando l’80 per cento della produzione regolare, stanno cercando di diversificare l’offerta valorizzando sia i vitigni tradizionali sia quelli internazionali. Sono nate così le denominazioni comunali come Ortona, Villamagna e Tullum.
Scelto per voi
R. Renaudin Réserve brut
Épernay è la città francese dello Champagne per antonomasia. Vanta dorsali favorevoli alla viticoltura. All’uscita sud della D9 inizia la prestigiosa Côte des Blancs, dove dopo pochi chilometri troviamo il piccolo villaggio di Moussy. In questo luogo, fondata nel lontano 1724, troviamo la Maison R. Renaudin, un R.M. (Récoltant manipulant), un produttore custode nel tempo delle tradizioni, che vinifica e spumantizza le uve dei suoi vigneti. Poco conosciuto alle nostre latitudini, è comunque ben presente nelle maggiori guide internazionali.
Dopo vari passaggi sia in acciaio sia in legno, senza malolattica, e il prolungato invecchiamento di 84 mesi sui lieviti, fanno del Renaudin Réserve lo Champagne per brindare al Nuovo Anno. Frutto di un assemblaggio di Chardonnay 70%, Pinot nero 15% e Pinot Meunier 15%, rappresenta l’eccellenza di questa Maison; il suo perlage fine e persistente esalta i profumi di crosta di pane e pasticceria lievitata (panettone) ed è invidiabile al palato la sua freschezza. Lo abbiniamo a tutto pasto con menu a base di pesce o carni bianche, ma se volete stupire i vostri ospiti, servitelo con schegge di Parmigiano Reggiano «asperso» di gocce di aceto Balsamico Tradizionale.
/ Davide Comoli