Vino nella storia – Nelle vicende e nella mitologia dell’epoca classica il nettare di Bacco ricopre un ruolo assolutamente importante
Dioniso nacque da una capricciosa relazione di Zeus, il padre degli dei, con Semele, una principessa di Tebe. Il suo concepimento provocò una furibonda gelosia da parte di Era, la moglie di Zeus, che ordì un crudele disegno per sopprimere la madre e il nascituro. Ma Zeus salvò Dioniso, cucendolo nella propria coscia, naturale incubatrice fino al momento della nascita.
Alla sua nascita, Dioniso fu affidato alle Ninfe della montagna di Nisa e da queste allevato in una grotta, dove lussureggianti piante di vite facevano da tappezzeria. Crebbe in assoluta libertà, tra canti e musica, girando libero tra i boschi, in perfetta assonanza con la natura, seguito ovunque da due tigri da lui ammansite, simili a due gattini. Un giorno per caso, dopo aver spremuto dei grappoli che pendevano nella grotta, versò il succo in una coppa d’oro e ne bevve a lungo.
Ben presto fu preso da una certa svagatezza e desideroso di condividere l’imprevista sensazione di giocondità ne offrì a satiri e ninfe, pervasi da una invasata vitalità. Dioniso sperimentò così il potere inebriante della bevanda e il potere generativo dell’allegria e dell’oblio. È a questo punto che esce la componente divina della sua personalità: egli non doveva e non poteva essere un edonista individualista; doveva al contrario dimostrarsi solidale con gli uomini e insegnare loro come vivere felici.
Dioniso allora si veste da «missionario», scanzonato e perfino dissacrante, accompagnato dal «centauro», Sileno, che porta in mano una coppa sempre piena e sempre vuota, per insegnare agli uomini la coltivazione della vite e l’uso del vino attraversa varie regioni, Siria, Egitto, India. Il messaggio di Dioniso era semplice e allettante: trasgressione, rimozione dell’angoscia esistenziale, voglia di vivere. I suoi precetti trovarono, è vero, una benevola accoglienza in larghi strati della società civile, ma incontrarono anche l’ostilità dei «potenti», per quel disordine e turbamento che essi generavano. Per questi motivi la sua missione non fu cosa facile; furono infatti molti ad impedire il consumo del vino che veniva considerato un pericolo per la stabilità sociale e politica.
Il re di Tracia, Licurgo, utilizzò l’esercito per far prigioniere le «baccanti», e i «satiri», ma Dioniso adirato lo punì rendendolo cieco; Perseo, re di Tebe, molto preoccupato per le orge notturne che specialmente le «Menadi», (le donne seguaci di Dioniso) facevano sui monti, ne volle impedire il culto, ma venne ucciso dalla madre seguace del dio. Fu appunto per tali gesta che egli meritò di ascendere all’Olimpo e di sedere tra gli dei.
Divenuto a tutti gli effetti «dio», poté concedersi qualche licenza, ebbe una relazione con Afrodite, da cui nacque Priapo, simbolo dell’esuberanza sessuale e protettore dell’orto e della vigna. Ma se un figlio integra e perfeziona la figura paterna, ecco che Priapo, ovvero i piaceri del sesso, integra a perfezione Dioniso, ovvero i piaceri dell’ebbrezza da vino.
E gli uomini quale divinità «più amica» potevano avere in sorte? È giusto quindi che essi abbiano tributato a Dioniso sin dalla notte dei tempi onori degni di un siffatto dio, ebbro e folle. Celebrare il dio significò innanzitutto «trasgredire». Questo era infatti ciò che accendeva nei riti dionisiaci, dove il «menadismo», vera celebrazione della follia e dell’irrazionalità, faceva la parte del leone. La festa dionisiaca, infatti, rappresentava l’occasione per scardinare tutte le regole che tengono insieme gli individui in una società, era instaurare l’uguaglianza tra ricchi e poveri e tra i sessi diversi.
A partire dal VI sec. a.C., il culto e la stessa immagine di Dioniso, subisce una trasformazione che le fanno perdere l’aspetto primitivo e la rendono più adatta ad una società più raffinata di quel tempo, molto ben descritta nelle opere del poeta tragico greco Euripide (480-406 a.C.).
Certo è che Dioniso nella società greca tra il VI-V sec. a.C., si presenta con vesti più decorose, un dio dell’eccesso e della follia collettiva, un dio in grado di sconvolgere le menti, appare senz’altro riprovevole, meglio indossare quindi vesti più borghesi.
La società bene dell’epoca, dovendo comunque onorare quel grande amico dell’umanità (senza voler rinunciare al vino), per prima cosa riformò i riti dionisiaci, che diventarono semplici rappresentazioni mimiche e canore a futuro ricordo di quello che essi erano stati originariamente e poi si diedero delle norme per usare «correttamente», il vino: non bisognava bere vino novello; il vino maturo doveva essere miscelato con l’acqua, bere vino schietto era considerato un costume barbaro, bisognava evitare di ubriacarsi.
A Sparta si costringevano i prigionieri Iloti a bere sino ad ubriacarsi e a mostrarsi in quello stato ai giovani spartani che imparavano a disprezzare il vino puro. Così regolato, il vino fece il suo ingresso nei salotti degli intellettuali della Grecia antica, come animatore delle serate che si trascorrevano in compagnia in casa di amici,: nasceva il «Simposio». Sì perché il Simposio nella sua forma «istituzionale», era anche una forma di intrattenimento, diciamo per gente di cultura superiore, gente che sapeva bene che il «piacere», non può dirsi completo, se non provocato dalla giusta combinazione equilibrata di tutti i sensi. Ma del «Simposio», ne parleremo prossimamente.
Friulano 2017
Il Friulano è il vino più amato dalla gente del Friuli, con il nome di Tocai è sempre stato il vino del popolo che all’osteria era solito ordinare un «taj di Tocai». Recentemente identificato con il francese Sauvignasse, è un vitigno molto versatile e spesso viene usato in uvaggi ai quali aumenta la struttura. Il Collio è una bella area di colline tappezzate di vigne e frutteti che si estende ad ovest di Gorizia lungo il confine con la Slovenia.
Il Friuliano che oggi presentiamo è prodotto da Franco Blazic nella sua Azienda Agricola in località Zegla, lungo la strada del vino e delle ciliegie a Cormons, nel Collio intermedio, dove i pendii protetti dalle Prealpi Giulie e la vicinanza del mare, creano le ideali condizioni per elaborare ottimi vini bianchi.
Dal colore giallo paglierino con riflessi verdolini, al primo impatto olfattivo è leggermente pungente nei richiami all’erbaceo a cui subito subentrano sentori di albicocca e mango. Al palato ritornano con evidenza le note vegetali e fruttate, ma quello che ci colpisce è la freschezza e sapidità anche in fase retrogustativa. È l’ottimo compagno per il classico prosciutto e melone, noi ve lo consigliamo con dei tagliolini agli scampi.
/ Davide Comoli