Vino nella storia – Durante il XIX secolo molte innovazioni hanno modificato la pratica della viticoltura e della vinificazione
Alla fine del 1800 la viticoltura e l’enologia ricevettero un forte slancio. Si pubblicarono articoli, si fondarono Stazioni enologiche sperimentali e Scuole di enologia, e non da ultimo furono dati alle stampe molti volumi inerenti a queste materie. Nel 1875 fu pubblicato a Casale Monferrato il primo settimanale nazionale di viticoltura ed enologia: «Il Giornale Vinicolo Italiano». E ancora nel febbraio dello stesso anno, si tenne a Torino il primo Congresso enologico: fu l’occasione per un confronto di opinioni sul futuro dell’enologia, sia da un punto di vista tecnico sia da quello commerciale.
Il Congresso sostenne una precisa divisione del lavoro. Si auspicava una separazione dei ruoli e una forte specializzazione. I vignaioli dovevano occuparsi delle vigne e vendere le uve a vinificatori professionisti, che a loro volta dovevano essere organizzati in importanti aziende dirette da enologi competenti, affiancati da esperti di mercato. Inoltre, in futuro, si sarebbero studiati i gusti dei consumatori stranieri, in modo tale da poter fornire prodotti atti a soddisfarli.
Anche il settore della tecnologia enologica registrò in quel periodo un forte impulso, a partire dalla pigiatura e pressatura delle uve. Già nel 1823 l’ingegnere Ignazio Lomeni aveva presentato all’Istituto di Scienze di Milano un prototipo di macchina per la pigiatura, la quale, attraverso due cilindri di legno scanalati che la componevano, non lasciava passare acini non pigiati né schiacciava in modo indiscriminato i vinaccioli e i raspi insieme agli acini.
In quel periodo, si stava infatti affermando nella vinificazione in rosso la diraspatura.
Interessante, si dice, fu il dibattito sulla macerazione, svolta in contenitori di legno o in muratura, a tino coperto o scoperto, a vinaccia sommersa e sul contatto tra mosto e parti solide, temperatura e rimontaggio.
Si procedette a sperimentare coadiuvanti per l’illimpidimento e la stabilizzazione, perché il mercato continuava a richiedere una maggiore quantità di vino in bottiglia per i quali stabilità e limpidezza erano di primaria importanza.
Anche la filtrazione vede, a fine 1800, una significativa evoluzione passando ai filtri di carta o cellulosa come i filtri di Siegel, Krauss o l’Albach. Nel 1881 a Conegliano, in una mostra di meccanica enologica, fu presentato «un misuratore di vino» e due anni dopo lo stesso inventore, Giuseppe Garolla, presentò la celeberrima pompa irroratrice, innovativa per la lotta antiperonosporica che porta il suo nome. Grandissimo successo riscosse anche la sua pigiatrice-diraspatrice, alla quale seguirono l’enofollatore e un nuovo torchio continuo.
L’avanzata tecnologica portò anche studi innovativi sulla produzione dei vini spumanti. All’ideazione di apparecchi che servissero a realizzare questa tipologia di vini, si applicarono personaggi famosi nel mondo enologico come il francese Charmat, Antonio Carpenè e Federico Martinotti.
Le prime autoclavi, realizzate in acciaio smaltato e ghisa per la fermentazione degli spumanti, furono introdotte solo nel 1920, dopo la Prima Guerra Mondiale. Questo recipiente portava una grande novità: la rifermentazione del vino non in un recipiente piccolo come una bottiglia, ma in un grande recipiente (250 l circa) chiuso, a tenuta di pressione. Anche la storia dei recipienti da vino e dei loro materiali subì nuove svolte. A metà del 1800 nuovi materiali entrarono in cantina: intorno al 1860 il cemento cominciò ad affermarsi.
Nel 1883 Giacomo Borsani brevettò un sistema di rivestimento interno delle vasche di cemento con lastre di vetro. Per quasi cent’anni il cemento diventò il principale materiale con cui erano realizzate le grandi vasche per il vino.
Queste restarono in auge fino alla fine degli anni Sessanta, quando pur senza scomparire da molte cantine, cedettero il posto a un innovativo materiale, l’acciaio inossidabile, che cominciò a trovare molte utilizzazioni in cantina; sino ai grandi serbatoi delle autobotti adibite al trasporto dei vini.
All’inizio del XX secolo, come già era stato preconizzato da Jules Guyot, si ebbe un passaggio dalle viti alberate a forme di pergole, alberelli a ventagli e a contro spalliere. La necessità di ricorrere al portinnesto e l’esigenza di difesa anticrittogamica e di una minima meccanizzazione spinsero verso l’allevamento in filari, con forme in grado di adattarsi, grazie a piccoli cambiamenti, a vitigni e situazioni diverse.
Malbec-Terrazas de los Andes
Senza dubbio originario del sud-ovest della Francia, il Malbec è il vitigno dominante a Cahors, ma è in Argentina che ormai è considerato il più coltivato, soprattutto nei vigneti terrazzati delle Ande, a un’altitudine che varia dai 700 ai 1100 m sul livello del mare, sopra la città di Mendoza.
È uno spettacolo pittoresco quello che appare ai nostri occhi alle spalle di vigneti coltivati a Malbec, dove si stagliano coperte di neve le cime del Cordón de Plata e del Tupungato. Vinificato in purezza, il Malbec argentino ci regala un ventaglio di profumi caldi e avvolgenti, confetture di bacche rosse e nere, note affumicate, liquirizia, molto speziato, legato all’uso delle barriques.
In bocca, il frutto maturo e l’alto contenuto alcolico contribuiscono a regalarci sensazioni morbide che addolciscono i tannini di cui è ricco il vitigno. Questo vino possente e generoso, può essere consumato (a differenza del Malbec di Cahors) abbastanza giovane. Lo consigliamo quindi in questa settimana che precede i riti di Pasqua, con i piatti tipici di questo periodo, capretto e agnello.
/ Davide Comoli